Art.45. La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento e ne assicura il carattere e le finalità. (Vitale)
“La nostra Costituzione è un grande baluardo per resistere a concentrazioni di potere finanziario per una economia ed una finanza partecipativa… per una economia, una società, una cultura equilibrate che si oppongono all’uniformità ed omogeneizzazione tecnocratica per i quali solo le grandi dimensioni meritano rispetto”. Esattamente ciò che i nostri padri costituenti non volevano altrimenti non avrebbero scritto l’art.45 sulla cooperazione.
In Italia ci sono troppe banche, disse Renzi a porta a porta, e continuò: una volta la banchetta di paese aveva un senso… e Mario Monti scrisse: con queste chiacchiere da caffè si liquida una delle esperienze più significative della storia finanziaria e delle democrazia economica italiana. Faccio fatica, perciò, a veder modificata la nostra Costituzione da questi governanti così superficiali.
Qui nel Cilento è terra di BCC. Sappiamo bene che significano le parole di Renzi. Proviamo a immaginare che sarebbe stata Capaccio (e le tante Capaccio) senza le loro Casse Rurali, poi BCC! Sappiamo bene che significa la riforma di Renzi per le BCC. Sostanzialmente mette le cooperative sotto la direzione ed il controllo di una Spa, scalabile, nordista e probabilmente quotata in Borsa lì dove le nostre grosse banche hanno perso quest’anno in media il 50% del valore delle loro azioni…
Mettere le cooperative sotto il controllo di una SpA significa, secondo voi, “assicurarne il carattere e le finalità”? La differenza è sottile eppure profonda: l’economia politica, della “polis”, si mostra oggi con il volto del turbo-capitalismo, quello che sfrutta i territori e li abbrutisce, che insegue la massimizzazione dei profitti, premia la rendita e si eccita con la finanza speculativa.
L’economia civile mette al centro le persone, i loro bisogni, ricerca la felicità. Utopia? Tutt’altro, e l’esperienza cooperativa lo dimostra. Occorre distinguere tra l’io ed il noi: si può essere ricchi anche da soli ma per essere felici bisogna essere almeno in due. Il ruolo dei territori diventa fondamentale. Il territorio è molto più che un insieme di imprese, ha una coscienza, una storia, persone che ci vivono ed esprimono motivazioni ben precise. La cooperazione che combina la dimensione economica con quella sociale deve continuare a giocare un ruolo attivo.
Il modello economico cooperativo svolge anche una funzione di contenimento delle diseguaglianze sociali. Nasce dal territorio e continuerà a vivere sul territorio.
L’attuale modello di capitalismo, caratterizzato dalla crescita delle diseguaglianze sociali, non è più sostenibile. Occorre un modello economico diverso che non faccia riferimento solo al mercato ma che sia centrato sulla reciprocità, sul bene comune e sulle persone.
Il problema dell’Italia oggi non è certo il bicameralismo o non è solo il bicameralismo. Il problema è il rapporto tasse-spesa pubblica-aziende. Il problema è generale, tocca tutti ed è uguale per tutti: è quello di uscir fuori dalla spirale perversa per cui lo Stato ha sempre più bisogno di risorse aggiuntive e col prelievo fiscale (che ha raggiunto la impensabile percentuale del 64% della ricchezza nazionale prodotta) tarpa le ali di ogni azienda.
Se non si abbassano le tasse, gli sprechi, la burocrazia e la corruzione non c’è futuro! Non ci sarà occupazione. Altro che riforme costituzionali pasticciate e di scarso profilo giuridico e culturale.
Non mi stupirei perciò se oggi il mondo del Credito Cooperativo girasse le spalle a questo Governo, visto che esso ha girato con grande superficialità le spalle al Credito Cooperativo aggirando sostanzialmente (senza cambiarlo) l’art. 45 della Costituzione.