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Le diatribe fiscali che attanagliano Israele

Non solo Fiscal Cliff, non solo Fiscal Compact. Nei concitati dibattiti su guerra e pace che hanno segnato la campagna per le elezioni di questo mese in Israele, è facile dimenticare che il voto è stato scatenato da un problema di tutti i giorni, il budget.

Come sottolineato da Reuters, mettere fine all’impasse sulle misure di austerità che l’hanno costretto a sciogliere prima del previsto la sua coalizione sarà una priorità per Benjamin Netanyahu dopo il ballottaggio del 22 gennaio che, stando ai sondaggi, garantirà la vittoria al centro-destra e a lui un nuovo incarico come primo ministro.

Il voto anticipato
Timorosi della reazione negativa degli elettori di fronte a nuovi tagli e all’aumento delle tasse, gli alleati della coalizione hanno rifiutato di approvare il bilancio 2013, spingendo Netanyahu a far tenere il voto nove mesi prima del termine naturale della legislatura. Ma ora, qualsiasi alleato venga scelto nel frammentato sistema partitico israeliano, per il governo sarà necessario un accordo sul bilancio, perché un fallimento delle trattative comporterebbe il ritorno alle urne.

La situazione economica
La maggior parte dei leader occidentali invidia il compito del ministro delle Finanze di Netanyahu, che si ritrova un tasso di crescita dell’economia che sfiora il 3%, nuove scoperte relative al gas, e un deficit di bilancio solo leggermente al di sopra del 3% del Pil. Il Prodotto Interno Lordo di Israele, secondo le stime, è cresciuto del 3,3% nel 2012 e ci si aspetta un aumento del 3% anche nel 2013. Ma l’economia sta rallentando a causa della stagnazione dei partner commerciali e, come riporta Reuters, il governatore della Bank of Israel, l’economista Stanley Fischer, ha avvisato i politici del fatto che un rapido ingresso in recessione potrebbe raddoppiare altrettanto in fretta il deficit di bilancio e della necessità di non fare errori quando ancora le prospettive restano tutto sommato buone.

Dove tagliare, e non, secondo i maggiori partiti
La Difesa costa a Israele il 17% del Pil, dieci volte tanto la spesa di un qualsiasi Stato europeo, ma è difficile che questo importo cali, con le continue tensioni nella zona. Il dibattito potrebbe dunque riguardare l’aumento delle tasse e la riduzione della spesa pubblica per una comunità ultra-ortodossa sempre in crescita dove gli uomini non lavorano. Alcuni partiti di sinistra cercano di spingere in su la spesa pubblica, pensando a tassare maggiormente i più abbienti e le società. Ma anche le piccole roccaforti politiche di destra che hanno sostenuto Netanyahu difendono ora con gli artigli la forte spesa pubblica destinata agli elettori ortodossi.

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