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Elezioni Usa 2016, cosa farà Hillary Clinton alla Casa Bianca in caso di vittoria

E’ lecito centrare la domanda “che cosa succederà dopo” sull’ipotesi che a un presidente democratico succeda una presidentessa dello stesso partito.

Politicamente identica a Barack Obama? Nessuno lo pensa veramente. La Storia darà i voti al primo leader di pelle nera degli Stati Uniti, ma è quasi certo che egli non si appresti a lasciare un’eredità compatta e dunque soltanto esempi da seguire. I suoi dati di popolarità, dunque di pubblica approvazione, rimangono solidi ma modesti. L’America dice sì per quello che lui ha fatto meglio, cioè limitare e poi ridurre i danni della gravissima recessione che lo aveva accolto all’ingresso della Casa Bianca e che non era responsabilità sua bensì di otto anni di amministrazione repubblicana. Egli non ha neppure tentato di invertire la rotta, di fronte a un Congresso nominato da repubblicani di una versione molto intransigente.

La composizione del suo elettorato indurrà Hillary piuttosto a svoltare in qualche misura a sinistra di quello che ha potuto e forse desiderava fare Obama. La Clinton stavolta ha trovato un concorrente di inatteso vigore in Bernie Sanders, il primo leader politico americano a definirsi “socialista”. A Hillary è rimasto il controllo della macchina del partito (che le ha consentito la vittoria), ma, per assicurarsi la confluenza di quel 40 per cento di elettori democratici che le avrebbero preferito lo sfidante, lei ha dovuto promettere una serie di svolte: da una difesa intransigente della discussa riforma obamiana della sanità, a restrizioni ai trattati commerciali firmati dai repubblicani e mantenuti da Obama e modificare qualcosa anche nei confronti della deregulation finanziaria della presidenza di Bill Clinton, adottare in qualche misura il piano di Sanders per la gratuità delle scuole superiori per le famiglie della classe media finanziariamente indebolita negli ultimi anni e nominare qualificati esponenti liberali nei posti chiave della sua amministrazione.

Non sarà e non può essere un secondo New Deal, ma dovrebbe essere abbastanza per accrescere le tensioni fra i due partiti e le rispettive filosofie. Un campo invece in cui il secondo presidente Clinton preferirebbe posizioni più moderate o addirittura di destra è la politica estera, complesso di problemi che ha occupato gran parte del tempo di Obama e indotto quest’ultimo a rinunciare a iniziative che avevano avuto gran parte del suo programma. Ciò si vedrà soprattutto nel Medio Oriente ma anche nei rapporti con l’Europa. Le scelte di Hillary Clinton, in questo terreno, emergono dalla sua opera come segretario di Stato, contrassegnata, fra l’altro, da iniziative di interventi militari, a cominciare dai Balcani.

È improbabile che una presidenza Clinton acceda a compromessi, in Siria e nei rapporti con la Russia. Hillary ha un passato di falco non universalmente condiviso nel Partito democratico ma molto apprezzato da settori importanti della finanza e quello che Eisenhower definì nel 1961 “complesso militare-industriale”. Indizi in questo senso si riscontrano anche nelle trascrizioni di quei famosi documenti segreti. Non torneranno facilmente i tempi del flirt fra Washington e Mosca che si erano estesi dagli anni di Reagan a quelli dei due presidenti Bush. Non sarà la Clinton a fare marcia indietro nell’estensione a Est della Nato.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)


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