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Ecco i settori industriali che vincono e che perdono con il prossimo presidente degli Usa

Hillary Clinton e Donald Trump sono al testa a testa nei sondaggi. A 24 ore dal voto l’incertezza è altissima e nessuno può dire realmente come andrà. E se in linea di massima la vittoria della democratica sarebbe il segno della continuità e potrebbe far bene a Wall street, mentre la vittoria del repubblicano Trump causerebbe uno choc di incertezza con estrema volatilità sui listini, se si sposta lo sguardo a livello di settori e singole asset class questa affermazione di carattere generale perde forza.

INFRASTRUTTURE PUNTO DI UNIONE
Nel dettaglio, un tema molto battuto dai due candidati – e comune ai due programmi – è stato nel corso della campagna elettorale quello degli investimenti in infrastrutture. “Dei diversi miliardi di dollari messi a budget dai due candidati per il miglioramento delle infrastrutture negli Usa, una fetta importante della spesa fiscale sembra che sarà destinata da entrambi al rinnovamento di strade e ponti, si legge in un report della società RARE Infrastructure del gruppo Legg Mason. Hillary Clinton propone un piano quinquennale di spesa pari a 275 miliardi di dollari, insieme alla costituzione di una National Infrastructure Bank con il potere di emettere debito e porsi da garante, al fine di raccogliere ulteriore capitale da privati per un ammontare di spesa aggiuntivo stimato in circa 225 miliardi. In aggiunta a ciò, la Clinton ha in progetto il raggiungimento di una banda larga universale entro il 2020 e un maggior focus sulle energie rinnovabili, da finanziare attraverso l’eliminazione di alcune scappatoie fiscali di cui alcune aziende beneficiano impropriamente”. Il piano di Donald Trump prevede invece 500 miliardi di spesa da finanziare attraverso l’emissione di nuovo debito. “Anche se, a differenza della Clinton, Trump non ha aggiunto molti dettagli a riguardo, la campagna sembra simpatizzare per le infrastrutture coinvolte nell’industria tradizionale dei combustibili fossili – dicono ancora da RARE Infrastructure – in entrambi i casi la spesa in infrastrutture proposta  si tradurrà in un incremento del Pil di circa lo 0,5 per cento”. Goldman Sachs stima che i piani della candidata democratica implichino un impulso del 17 per cento all’edilizia pubblica totale ogni anno e del 3,6 per cento all’attività edilizia complessiva. Dal canto suo Trump, che vuole spendere il doppio della sua rivale, darebbe un impulso ancora più forte alle società edili.

COMMERCIO E IMMIGRAZIONE
Sono gli aspetti che fanno apparire Trump meno repubblicano di quanto si dichiari: Trump è contrario a una maggiore liberalizzazione degli scambi e ostile agli accordi commerciali già in essere (come il Ttip e il Tpp), mentre favorisce dazi doganali e restrizioni agli scambi, opponendosi all’uso dei cambi valutari come strumento di politica. “Le minacce di pesanti dazi sui prodotti cinesi rappresentano un fattore di rischio per ogni settore o società Usa che dipenda da quelle importazioni – si legge in un ampio report pubblicato da Fidelity International – Al contempo i dazi doganali contro Pechino potrebbero favorire i comparti produttivi nazionali che hanno subito la concorrenza cinese, come ad esempio il settore dell’acciaio”. Clinton è molto più aperta dell’avversario sui temi dell’immigrazione e secondo gli analisti di Fidelity questo darebbe, in caso di vittoria dell’ex avvocato, gas a molti settori dell’industria primaria, a partire da quello agricolo.

POLITICA FISCALE AGGRESSIVA CON TRUMP
Trump propone, inoltre, una significativa riforma del sistema fiscale, con la riduzione degli scaglioni di imposta sul reddito da sette a tre e il drastico abbassamento dell’aliquota massima sulle società dal 35 per cento al 15 per cento. “Questi tagli fiscali potrebbero dare slancio alla crescita economica, ma la conseguente perdita di entrate nelle casse pubbliche potrebbe incrementare il deficit”, dicono da Fidelity.

L’AMBIENTE CON CLINTON, LO SHALE CON TRUMP
Trump è scettico sui cambiamenti climatici e contrario alle normative ambientali, da lui giudicate eccessivamente gravose per le imprese. “La forte opposizione di Trump alla normativa ambientale favorisce i settori che più hanno risentito di queste regole in passato, come i produttori di combustibili (gas e petrolio da scisti) – continuano gli esperti di Fidelity – Lo svantaggio nel caso di una vittoria repubblicana sarebbe, invece, a carico del settore delle energie alternative, soprattutto solare ed eolico, dal momento che le generose sovvenzioni federali per questi comparti (sotto forma di credito d’imposta) potrebbero essere tagliate”. La Clinton al contrario è una strenua sostenitrice delle energie alternative che avrebbero vita brillante con la sua elezione. Con Trump vince invece il settore del carbone.

TUTTI IN DIFESA
Un altro punto di contatto dei programmi è l’aumento delle spese militari, “ma in base alle dichiarazioni e al profilo complessivo – ancora secondo gli analisti di Fidelity – si prevede Trump possa essere più aggressivo rispetto alla Clinton. Il magnate ha infatti puntualizzato che l’attuale quota del 3 per cento del Pil destinata alla spesa militare è troppo bassa e che intende riportarla attorno al 6 per cento come in passato. Ciò favorirebbe dunque i produttori di attrezzature militari e di armi”.

SALUTE, PHARMA A RISCHIO CON CLINTON
La campagna della candidata democratica ha puntato molto sulla lotta agli aumenti dei prezzi “ingiustificati” e “predatori” da parte dei produttori di farmaci. L’eventuale presidenza Clinton avrebbe un impatto contrastante sul settore sanitario, penalizzando alcuni produttori di farmaci, ma offrendo continuità all’Affordable Care Act di Obama, che ha portato a un aumento della copertura assicurativa con un conseguente incremento della domanda di servizi sanitari.

AZIENDE LABOUR INTENSIVE PENALIZZATE
Entrambi i candidati si sono espressi a favore di un aumento della retribuzione minima dagli attuali 7,25 dollari all’ora. Clinton sostiene un notevole incremento del salario minimo federale a 12 dollari all’ora, che si ripercuoterebbe negativamente sui settori che impiegano molta manodopera a basso costo, come la ristorazione e l’alberghiero.

CONSUMI DOMESTICI VS EXPORT
“In caso di vittoria di Donald Trump – spiega Viktor Nossek, direttore della Ricerca di WisdomTree Europe – sui mercati potrebbero inizialmente verificarsi vendite massicce, poiché le scommesse a metà ottobre sottostimavano questa eventualità. Con la sua elezione alla Presidenza, è probabile un aumento della volatilità sui mercati azionari e obbligazionari”. Quando le acque si saranno calmate però “è probabile che le valorizzazioni più basse delle esposizioni azionarie focalizzate sull’economia nazionale guadagnino maggiore appetibilità: small cap e industria spinta dai consumi interni, dunque”, continua Nossek.
Al contrario, secondo il ricercatore, nel lungo periodo, dalla vittoria di Clinton “trarrebbero beneficio difensivi, titolo che distribuiscono elevati dividendi, ed esportazioni”. Secondo l’esperto è molto probabile che i repubblicani manterranno il controllo almeno della Camera dei deputati, causando in caso di vittoria di Clinton “un punto morto a Washington sul fronte legislativo, più attivismo sui fronti giudiziario e normativo, tolleranza dello status quo rispetto all’immigrazione legale e illegale, proseguimento del sostegno delle istituzioni al sistema commerciale globale e agli impegni strategici americani oltremare che contribuiscono a supportarlo”. Nel breve periodo sarà la Fed a decidere dei mercati, più che la politica interna.

TUTTI SULL’ORO SE VINCE TRUMP
Un ultimo effetto della vittoria di Trump potrebbe essere un aumento dei prezzi dell’oro del 10% in dodici mesi. “L’oro è considerato ancora un bene rifugio – sostiene James Butterfill, Head of Research & Investment Strategy per ETF Securities – e la vittoria di Trump determinerebbe più imprevedibilità politica di qualsiasi altro presidente da generazioni, soprattutto per quanto riguarda la leadership della Federal Reserve americana e la strategia di politica monetaria”. L’elezione della prima donna presidente degli Usa causerebbe invece “una perdita del metallo giallo fino al 6 per cento – continua Butterfill – anche se restiamo rialzisti sulla commodity fino a giugno 2017”. L’analisi del comportamento dell’oro in tutte le 22 elezioni Usa dal 1928 a oggi porta il ricercatore a osservare che “quando c’è un cambio di amministrazione, le azioni tendono a essere volatili, calando del 6 per cento entro un trimestre, mentre l’oro tendenzialmente registra un rally del 10 per cento nell’anno. Mentre quando non c’è un cambiamento di amministrazione l’oro tende a un sell off in media del 5 per cento mentre la volatilità azionaria resta bassa e sale del 5 per cento nell’anno”


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