Il 14 gennaio del 2011 in Tunisia finiva l’era del presidente Ben Ali, al potere dal 1987. A farlo cadere la sommossa di piazza, prontamente definita “rivoluzione dei gelsomini”, cui si riferiscono le immagini, e che diede il via a una serie di analoghi sommovimenti in diversi Paesi maghrebini, poi raccolti sotto il nome collettivo, chissà quanto storicamente corretto, di “primavera araba”. Due anni dopo però la situazione a Tunisi resta difficile: l’economia non si riprende, la società è inquieta e non mancano le esplosioni di violenza, la politica si dibatte in una impasse poco rassicurante per la stesura della nuova Costituzione. E a tutto questo si aggiunge la minaccia dell’estremismo islamico, che già ha trovato modo di porre il proprio cappello ad altre presunte rivoluzioni nel mondo arabo.
Quello che è certo è che l’ex presidente Ben Ali ora vive in esilio con la famiglia, ospitato dal regime saudita. In patria difficilmente potrà fare ritorno: è stato infatti condannato in contumacia a 90 anni di carcere. Una cifra che fa il paio con le percentuali di consensi, che in Europa avremmo definito “bulgara”, che l’ex rais tunisino era solito raccogliere nelle elezioni ai tempi del regime. Ma nonostante la sua caduta, a Tunisi si fatica ancora a prevedere come sarà il futuro. E l’incertezza persiste, con tutte le problematiche e i rischi che questo porta con sé.