Comprate oro. La previsione di un balzo in avanti del metallo giallo – pure se collegata a quella remotissima di una vittoria di Trump – era contenuta in molti report di analisti e gestori che davano appunto il Repubblicano per sconfitto ex ante.
“Ci potrebbe essere un aumento dei prezzi dell’oro del 10% in dodici mesi – dice James Butterfill, capo della ricerca e della strategia di Investimento di Etf Securities – L’analisi del comportamento dell’oro in tutte le 22 elezioni Usa dal 1928 a oggi porta il ricercatore a osservare che quando c’è un cambio di amministrazione, le azioni tendono a essere volatili, calando del 6% entro un trimestre, mentre l’oro tendenzialmente registra un rally del 10% nell’anno”.
La profezia, almeno stavolta, si sta avverando.
ORO IN RIALZO
“Gli investitori – puntualizza Roberto Rossignoli, Portfolio Manager in Moneyfarm – sono comprensibilmente alla ricerca di asset meno rischiosi. Di conseguenza i grandi favoriti sono i beni rifugio come l’oro (che al momento segna un rialzo di oltre il 2%). La vittoria di Trump rappresenta qualcosa di nuovo e inaspettato e questo spiega il sell-off dei titoli più rischiosi”. La volatilità annunciata e comunque attesa di breve periodo sulle Borsa sembra aver già lasciato spazio a un rally – vedremo nei prossimo giorni cosa accadrà. Anche perché, nonostante il chiaro favore ottenuto da Trump, “la sua esperienza politica, capacità e obiettivi rimangono poco chiari – dice Lionel Melin, di Lyxor – Crediamo che l’avversione al rischio permetterà all’oro di sovraperformare. Ci attendiamo un rafforzamento del prezzo dell’oncia con un ritorno ai suoi recenti massimi, a 1335 dollari per oncia”.
BOND IN LINEA CON LE BORSE
Dal punto di vista macro un altro elemento che potrebbe sparigliare le carte è la politica monetaria, con un effetto immediato sui T-bond. “I mercati obbligazionari si muovono in linea con l’atteggiamento di risk-off dei mercati globali – sostiene Michael Boye, trader fixed income di Saxo Bank – mentre la direzione futura della politica sui tassi di interesse è molto più incerta e potrebbe muoversi nettamente nella direzione opposta”. Da un lato, quindi, i rendimenti dei T-bond a dieci anni sembrano essersi consolidati (sopra il 2% che non vedevano da nove mesi) sul timore di un rialzo dell’inflazione. “Supponendo l’elevata probabilità di tagli fiscali in un momento di piena occupazione, la curva dei Treasury, a nostro avviso, diventerà più ripida”, scrive Jan Straatman, Global Chief Investment Officer di Lombard Odier IM.
MA LA POLITICA MONETARIA POTREBBE CAMBIARE ROTTA
Il risultato elettorale solleva numerosi interrogativi circa la direzione delle politiche future della Federal Reserve – sia nel breve che nel lungo periodo – prima di tutto relativamente alla posizione della stessa Janet Yellen, che non è supportata da Trump. “La probabilità di un eventuale rialzo dei tassi, ipotizzato per Dicembre, è scesa dall’86% a meno del 50% in poche ore – continua Boye – Una reazione giusta, poiché è difficile pensare a un rialzo in queste condizioni di incertezza e turbolenza dei mercati, che ci potrebbero accompagnare per diverso tempo. Nel lungo termine però, potremmo effettivamente assistere ad un rialzo anche superiore a quello ipotizzato nel mondo che ci siamo appena lasciati alle spalle”.
Trump non ha perso tempo per attaccare le politiche della Yellen, accusandola di tenere i tassi di interesse ad un livello troppo basso per un periodo di tempo troppo prolungato, ingigantendo così la “bolla economica”.
PRAGMATISMO
“Così – conclude il trader – mentre c’è la reale possibilità che Janet Yellen venga sostituita da un successore (ancora) più aggressivo di lei, sappiamo anche che Donald Trump, persona molto pragmatica, potrebbe non essere incline ad assumersi la responsabilità di un eventuale momento di stress dell’economia legato ad una politica di tassi aggressiva. Infatti, resta innanzitutto da capire con quale aggressività Trump porterà avanti le politiche presentate durante la campagna elettorale, ora che ha effettivamente in mano le chiavi dello Studio Ovale”.
In ogni caso, l’outlook sulla crescita macro degli Usa resta stabile. Per Goldman Sachs, per esempio che si aspetta “una crescita solida ma non eccezionale nell’intorno del 2% per i prossimi due anni e un continuo rafforzamento dell’inflazione”.
RIALZISTI SUL DOLLARO
“L’ultima volta che gli Stati Uniti hanno usato lo stimolo fiscale quando l’economia non era in una fase di recessione – spiega David Woo, strategist valutario di Bank of America Merrill Lynch tariffe – è stato durante la presidenza di Ronald Reagan (1981-1984). Questo ha incoraggiato la Fed a entrare in un ciclo rialzista che ha spinto il dollaro su del 60%. Oggi, Trump potrebbe varare le auspicate riforme fiscali per incoraggiare il rimpatrio di 2 trilioni di dollari su cui le aziende Usa sono sedute. Le nostre stime suggeriscono che circa 400 miliardi di liquidità offshore possa essere convertita in dollari, spingendo ulteriormente la valuta”.