Accordo saltato fra maggioranza e opposizioni in Parlamento su alcune norme bancarie da inserire nel decreto fiscale. Ecco fatti, ricostruzioni e indiscrezioni.
IL NODO DEL CONGUAGLIO
Una norma per “spalmare” su più anni il conguaglio finale per il salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. Ne hanno bisogno sia il governo sia le banche e il luogo prescelto era il decreto fiscale che lunedì 14 sbarcherà in Aula alla Camera per ricevere il via libera il giorno dopo. Si tratta di una somma totale di 1,8-2 miliardi che tutti gli istituti di credito italiani devono pagare al fondo di risoluzione che è intervenuto nelle 4 banche.
CHE COSA PREVEDEVA L’EMENDAMENTO
Nello specifico si prevede che le banche versino il contributo ma che lo registrino in bilancio spalmandolo fino a 5 anni. Si avrebbe dunque una situazione per cui si registrerebbe tutto l’ammontare per “cassa” ammortizzandolo però in vari anni ed evitando così di incidere sui conti di un solo anno. Il decreto fiscale consentirebbe agli istituti di credito di giovarsi della norma entro dicembre, quando si chiudono i bilanci.
LE RICHIESTE DELLE OPPOSIZIONI
Fin qui tutto sembrava filar via liscio se non fosse che serviva il placet unanime delle opposizioni le quali, insieme a parti della maggioranza, hanno inserito nel dl fiscale un emendamento – poi cassato – che riporta da 8 a 30 miliardi gli attivi della soglia per l’obbligo di trasformazione delle banche popolari in spa. La soglia di 8 miliardi era stata stabilita dal governo nel decreto sulle popolari facendo così rientrare nella norma anche Banca Etruria. Soglia che ora, stante il crac dell’Etruria, si sarebbe potuta rialzare a 30 miliardi facendo contenti gli istituti più piccoli.
IL CASO DELLE POPOLARI VERSO LA SPA
Da ricordare che le altre banche maggiori si sono tutte trasformate tranne Bper e Popolare di Sondrio, che comunque stanno sopra i 30 miliardi, la Popolare di Bari – che a dicembre avrà assemblea – e la Popolare Alto Adige che aveva acquisito la Popolare di Marostica e si era trovata così spiazzata sopra la soglia degli 8 miliardi. Sull’emendamento della soglia attivi erano d’accordo sia Palazzo Koch sia il ministero dell’Economia e delle Finanze retto da Piercarlo Padoan anche perché in merito è pendente un ricorso al Consiglio di Stato dall’esito incerto.
COME E PERCHE’ L’ACCORDO E’ SALTATO
In sostanza, l’accordo di massima suonava così: passa la norma sul fondo di risoluzione per il salvataggio delle quattro banche e in cambio si torna indietro sulla soglia degli attivi delle popolari. Ma dopo conciliaboli e riunioni tecniche fra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, esponenti del ministero dei Rapporti con il Parlamento retto da Maria Elena Boschi, uomini del Tesoro e commissioni parlamentari competenti. Alla fine le modifiche, contenute nell’emendamento in questione, sono state giudicate inammissibili dalle presidenze delle commissioni Bilancio e Finanze della Camera. L’input di Palazzo Chigi ha avuto la meglio.