Chiamateli come volete. Sales manager, area manager, export manager. Account, funzionari tecnico-commerciali. O semplicemente rappresentanti. Commerciali e basta.
Ma sono loro i soli che ci possono portare fuori dalle sabbie mobili della crisi. Al mattino, rasati e di tutto punto, tirano l’estremità della cravatta con cui serrano il nodo, né troppo piccolo, né troppo largo come il cavaliere, una volta, infilava la spada nel fodero. E partono. A bordo delle loro station wagon, tdi, con i fari che come occhi di lupo fendono le nebbie della val padana mentre i tubi di scarico, nel passaggio dalla quinta alla quarta, rilasciano lo sbuffo di nafta. Lo osservano sbiadirsi nello specchietto retrovisore, assieme ai contorni del riverbero delle luci delle notte che sta tramontando, sulla buccia di smog delle ancora industriali città del Nord da cui partono.
La prima sosta al più vicino autogrill fa la fortuna delle compagnie petrolifere e dei monopoli di stato. E via. Nuovi clienti, nuovi ordini, nuovi campionari. Il commerciale è ostinato e ottimista per carattere e per definizione. Non molla quando il telefono dell’interlocutore suona ma nessuno risponde.
Non molla quando la trattativa si fa dura o va per lunghe. Si carica di entusiasmo e del gusto della sfida quando un concorrente imbroglia le carte con un’offerta palesemente al ribasso.
Non teme i viaggi e le presentazioni. Il computer ha il desktop che è una carta geografica, ma in testa regna l’ordine, quello della strategia e della comunicazione più fine.
Una telefonata in ufficio, alla logistica e alla produzione, per essere sicuri di non promettere senza poter mantenere. A volte, certo, buttano il cuore oltre l’ostacolo. Fanno promesse eccessive. Sarà l’ordine in mano a convincere gli altri direttori di funzione, tra un’incazzatura e l’altra, a incastrare le date di consegne. Non sono mai pagati abbastanza per i chilometri che fanno. Per le tante stanze di albergo che spesso sono il rifugio dopo cene, consumate da soli, lungo itinerari settimanali sempre meno comodi per fare efficienza. La diplomazia, l’arte fine del commerciale non si insegna in nessuna scuola di nessun ordine e grado. Ci si affida a doti caratteriali, al fiuto che uno si è allenato da piccolo fin dalle prime trattative per battere al compagno di banco un pacco di figurine.
I migliori di loro, i master che le epoche recenti hanno prodotto per far cassa nelle università, non li hanno mai frequentati. E in questo strano paese, molti di loro sono stati considerati, per decenni, dei semplici bru bru. I soliti vizi italici, di un paese strano e bizzarro, dove chi ha avuto, e ha, ha sempre guardato con la puzza sotto il naso a chi gli garantiva ricavi e fatturato.
Elogio dei commerciali
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