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L’innovazione della scienza farmaceutica

Di Luigi Naldini
Luigi Naldini

Oggi stiamo attraversando un passaggio epocale, ovvero una terapia genica sperimentale che diventa a tutti gli effetti un farmaco. I farmaci che abbiamo conosciuto fino a pochi anni fa, erano piccole molecole che si assumono tipicamente attraverso una pillola. Vanno a distribuirsi nell’organismo e, per ottenere effetti, dobbiamo continuare ad assumerli. Poi è arrivata in medicina la rivoluzione dei farmaci biologici, che sono anticorpi e proteine, sono più articolati e hanno effetti più complessi e specifici di quelli di una piccola molecola. Riscontriamo già con questi farmaci un salto di complessità straordinario e possiamo vedere quale grande cambiamento abbiano portato nelle terapie.

La novità di oggi è che il farmaco è un gene, ovvero un insieme di informazioni complesse che codificano una proteina; questo farmaco (gene) viene inserito in una cellula che diventa il suo veicolo. Quindi, non si tratta più di una pillola o di una proteina, ma di cellule viventi di un paziente che hanno nel loro Dna una nuova istruzione genetica. Il primo farmaco di questo tipo è Strimvelis, che apre la strada a un più ampio numero di strategie terapeutiche.

Le cellule diventano dei farmaci veramente intelligenti, non soltanto perché le istruzioni rimangono in quella cellula e nella sua progenie, ma perché queste cellule vanno a cercare il sito della malattia – e lo fanno naturalmente – e si propagano, si mantengono e ne amplificano la risposta. Queste terapie si somministrano una volta sola e, a distanza di 15-16 anni, permettono un beneficio terapeutico uguale a quello riscontrato all’inizio della cura: un beneficio sostanziale di correzione della malattia, perché si è modificato un intero tessuto che è il sistema immunitario e, nel caso, dell’Ada-Scid il sistema immunitario dei bambini trattati.

Dopo questo risultato, noi ricercatori non ci siamo adagiati sugli allori e stiamo provando a espandere la strategia di questa terapia ad altre malattie genetiche. Sempre in partnership con Gsk, stiamo portando avanti, nell’Istituto san Raffaele-Telethon di Milano, tre studi clinici sperimentali. Studi che hanno come punto di partenza un approccio simile a quello di Strimvelis, che interessa quindi cellule staminali del sangue. Il progetto, adesso, è ancora più ambizioso perché stiamo provando ad ampliare l’efficienza e l’impatto della terapia attraverso l’aumento dell’intensità con cui la correzione genetica si applica alle cellule che modifichiamo e che si può estendere, poi, a tutte le cellule del sangue. L’avanzamento di uno di questi studi sulla leucodistrofia metacromatica, una malattia gravissima neurovegetativa dell’infanzia, ha evidenziato che non solo i linfociti diventano portatori della correzione; oggi abbiamo potuto arrestare completamente lo sviluppo della malattia, trattando con questa terapia genica e con cellule staminali del sangue quei bambini a uno stadio della patologia precoce, prima dei devastanti effetti che essa arreca.

Un’altra sperimentazione è in corso su una malattia dell’immunità e della coagulazione del sangue, la sindrome di Wiskott-Aldrich, un raro deficit immunitario dei linfociti dovuto ad alterazioni di una proteina coinvolta nel funzionamento del citoscheletro, la struttura che dà forma e sostegno alla cellula. Le cellule staminali del sangue corrette producono non solo linfociti funzionanti, ma anche altre cellule, come le piastrine deficitarie dei pazienti affetti da tale sindrome, con piena correzione del fenotipo.

Un altro studio partito più recentemente, di cui abbiamo risultati solo a breve termine ma altrettanto incoraggianti, riguarda la beta talassemia. Malattia genetica anch’essa, è grave ma non fatale come le altre citate, eppure colpisce un alto numero di portatori nel mondo e quindi di potenziali malati. Qui un intervento singolo con le cellule del paziente modificate può portare alla correzione.Assistiamo pertanto a un ampliamento della strategia attuata da Strimvelis che può essere applicata su un numero crescente di malattie, non solo genetiche.

Dal momento che si è imparato a inserire nuove istruzioni in una cellula, non possiamo soltanto introdurre istruzioni che erano difettose, possiamo bensì immetterne di nuove e, in questo modo, si può tentare di insegnare alle cellule, per esempio quelle derivate dal sangue, a lottare in modo più efficace contro un’infezione cronica o contro un tumore. L’immunoterapia ad esempio, che è uno dei nuovi pilastri della terapia del cancro, si può cominciare a fare con la terapia genica, insegnando alle cellule immunitarie a combattere meglio un tumore. Tutte queste considerazioni ci danno la conferma che la scienza ha aperto una strada completamente nuova alla terapia e il percorso fatto fino a oggi, che mi sembra opportuno definire straordinario, ha reso queste terapie complesse, e queste cellule ingegnerizzate, farmaci che possono essere standardizzati, approvati e somministrati in sicurezza ai pazienti.

Luigi Naldini (Direttore Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica)

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