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Perché spunta l’ipotesi di una manovra correttiva

Dopo il referendum, e con le dimissioni del presidente del Consiglio si porrà nuovamente l’ipotesi di un intervento sulla finanza pubblica.

Il “Semestre europeo”, cioè la forma adottata dai Paesi membri dell’Unione europea per coordinare le politiche economiche e di bilancio e quindi governarle con i paletti comuni del Six-Pack e del Two-Pack, ha mostrato un’Italia che va verso lo sforamento dei propri obiettivi economico-finanziari, a meno che non adotti “le necessarie misure” – come recita l’opinione della Commissione del 16 novembre – nella definizione del processo di formazione delle leggi di bilancio, cioè in particolare della legge di stabilità. Lo scarto individuato tra ottobre e novembre è probabilmente dello 0,3% del PIL, pari a circa 5 miliardi. Non molto, ma comunque d’importo significativo in tempi di rabbia, proteste e voti referendari.

La diatriba tra la posizione assunta dal governo di Matteo Renzi con la bozza di legge di stabilità inviata il 19 ottobre e le osservazioni della Commissione europea del 16 novembre ruotava almeno in parte sull’argomento delle maggiori spese per migranti e terremoto. Il presidente del Consiglio aveva issato il vessillo dell’orgoglio nazionale contro la caparbia Europa, che aveva avuto strascichi con un’astensione del sottosegretario Sandro Gozi nella notte tra il 16 e il 17 novembre al voto sul bilancio europeo, rimandando la decisione finale al Consiglio europeo del 15 dicembre.

In questi mesi di turbolenze su populismi e sicurezza europea, l’atteggiamento generale era stato conciliante così come per altri Paesi, tra cui Spagna (a cui le sanzioni sono state sospese, ma che è riuscita alla fine almeno a formare un governo il 29 ottobre) e Francia, e così è andata nei confronti dell’Italia, alle prese con il referendum costituzionale del 4 dicembre. Al Consiglio europeo del 15 dicembre l’Italia, con Trump in arrivo e gli scenari per il 2017, il clima sarà meno morbido per l’Italia e per i Paesi in analoga situazione, come Cipro, mentre Belgio, Lituania, Slovenia e Finlandia hanno scritto che intendono muoversi verso gli aggiustamenti.

Il braccio di ferro avviato il 19 ottobre non avrà un interprete italiano (“Siamo pronti a ogni tipo di intervento, fino al veto” diceva Renzi), e si dovrà prendere atto della tendenziale deriva dei conti pubblici italiani, a cui porre rimedio. D’altra parte, anche qualche decennio fa non mancavano indicazioni internazionali sui correttivi da apportare ai bilanci nazionali italiani. Oggi la cooperazione strutturata del “Semestre europeo” tra gli Stati membri, con la “segreteria” della Commissione, prevede  una manovra correttiva che resta un’indicazione, ma che si può trasformare in un obbligo. “L’Italia non rispetterà le regole del debito di bilancio nel 2016 e nel 2017”, dice la Commissione, e se non provvede presto uscirà quindi dal “braccio preventivo” (cioè quello di monitoraggio e aggiustamento) per entrare nel “braccio correttivo”, cioè in un procedimento vincolante che fornisce indicazioni puntuali, da rispettare entro 3-6 mesi, a pena di sanzioni.  La certificazione del giudizio del 16 novembre della Commissione avverrà il 15 dicembre al Consiglio europeo, e non ci sarà più Renzi a opporre resistenza.

La manovra di aggiustamento dei conti pubblici sarà quindi in agenda anche per il Presidente Mattarella, mentre farà il suo giro di consultazioni, e sarà una delle grane per il prossimo Presidente del Consiglio.



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