Il referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre è stato un tentativo di modernizzare il datato quadro istituzionale italiano e accelerare il lento processo decisionale. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il suo governo si auguravano di poter ottenere il sostegno necessario a bilanciare l’equilibrio politico in futuro.
Con la vittoria del “no” al referendum e le dimissioni di Matteo Renzi, il premier dimostra di aver subito una importante sconfitta, e di non essere riuscito nei suoi tentativi non solo di rendere il processo legislativo più rapido e diretto, ma anche di consolidare il potere del suo partito di centro-sinistra, il Partito Democratico.
COSA SUCCEDE DOPO IL NO?
Al momento vediamo quattro possibilità:
Dopo aver presentato le sue dimissioni, il premier Renzi potrebbe ambire ad ottenere dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella un nuovo mandato per guidare il Paese fino alle elezioni della primavera del 2018, con il voto di fiducia del Parlamento.
Si potrebbe delegare un esecutivo ad interim analogo al governo Prodi del 2010-2011. Una formazione che potrebbe cercare a sua volta di riformare la legge elettorale. In questo processo, i rischi di un voto di sfiducia a Matteo Renzi da parte di numerosi partiti, tra cui il Movimento Cinque Stelle, Lega Nord e Forza Italia, sarebbero decisamente elevati.
L’Italia si è già trovata in una situazione simile con governi ad interim dal secondo dopoguerra: dal 1945 a oggi si sono succeduti 64 governi. Se Renzi seguirà questa strada, l’equilibrio politico sarà ancora molto delicato e l’Italia non sarà in grado di esercitare un ruolo di leadership nella soluzione dei problemi dell’Unione europea. Se il premier riuscisse a portare avanti le riforme, le elezioni sarebbero rinviate a fine 2017 o al 2018.
A seguito delle dimissioni di Renzi, il presidente della Repubblica potrebbe non riuscire a designare un sostituto con il conseguente scioglimento del parlamento. Per quanto improbabile, tale scenario sfocerebbe in una chiamata alle urne nel 2017 con l’attuale legge elettorale e, in assenza di una riforma, l’esito più probabile sarebbe un altro governo debole o eventualmente di coalizione.
RIPERCUSSIONI SUI MERCATI FINANZIARI
Escludendo gravi ripercussioni politiche, i mercati hanno già scontato gran parte delle tensioni e delle cattive notizie che quasi certamente seguiranno alla sconfitta del Premier. Le riforme infatti sono già in notevole ritardo, la crisi del sistema bancario sembra poco gestibile a causa delle norme sul bail-in e l’Italia non rispetta appieno gli obblighi di bilancio dell’Unione europea volti a contenere il deficit.
La sconfitta dell’establishment apparirà come un rafforzamento della tendenza politica iniziata con la Brexit e proseguita con la vittoria di Donald Trump, ma potrebbe anche dare all’Italia il tempo di riflettere sul proprio futuro nel corso di un anno politico particolarmente volatile. Il nazionalismo populista è in ascesa in Europa mentre Olanda, Francia e Germania stanno per affrontare importanti elezioni.
“OCCHI PUNTATI” SULLE ELEZIONI ANTICIPATE
Dopo la vittoria del “no”, la questione più importante è se si andrà alle elezioni anticipate. Ipotesi caldeggiata dal partito di Renzi, che potrebbe avere conseguenze negative degne di nota: dagli ulteriori ritardi nel tentativo di riforma del sistema di governo al caos politico in un momento ancora delicato per l’economia, dalla perdita di fiducia degli investitori ai dubbi circa la sostenibilità del debito pubblico.
Il “no” non prelude necessariamente al voto anticipato, ma se così fosse probabilmente potrebbero salire al governo i Cinque Stelle, che stanno “col fiato sul collo” al Partito democratico.
Il Movimento Cinque Stelle è una forza populista anti-establishment senza esperienze di governo a livello nazionale, con un programma politico non esteso e che spesso interpella i propri iscritti in rete per le principali decisioni.
Se ci saranno, le elezioni anticipate si terranno probabilmente nella seconda parte del 2017, ma è prematuro formulare previsioni su una possibile vittoria delle forze populiste, soprattutto in considerazione del fatto che i primi ad andare alle urne saranno olandesi e francesi.