La grande partecipazione popolare al voto sulla riforma costituzionale – una partecipazione che non si vedeva da anni – è la dimostrazione che quando si toccano temi importanti come la riforma della Costituzione le persone partecipano e non accettano condizionamenti di alcun genere: questo è un primo dato forte che emerge dalla consultazione di domenica e che sta a dimostrare come la disaffezione al voto degli ultimi anni sia frutto non della disattenzione degli elettori alla politica ma sia da leggere come richiesta dei cittadini di sentirsi parte maggiormente attiva e coinvolta nelle scelte politiche e strategiche del Paese.
La Costituzione non è una delle tante leggi che perseguono obiettivi politici contingenti, ma la disposizione fondamentale che esprime le basi della convivenza civile e politica, il manuale che detta le regole del gioco e che è frutto della volontà di condividere. Appunto per questo vive di legittimazione giuridica, politica e culturale: così è stato per la Costituzione del 1948 che – approvata quasi all’unanimità – è stata frutto di un nobilissimo compromesso, non a caso da sempre considerata la ‘Costituzione di tutti.
Il problema è che il voto sulla riforma costituzionale del governo Renzi ha diviso anziché unire consegnandoci un Paese che mostra le cicatrici della violenza di una parte sull’altra: già da questo punto di vista possiamo dire che questa riforma aveva fallito, ancor prima del verdetto degli elettori. I cittadini lo hanno capito e sentito, e si sono mobilitati perché la Costituzione non è tema sul quale dividere un Paese, ma una casa comune in cui tutti debbono ritrovare l’unità.
La campagna referendaria è stata a tratti molto dura e per questo, al di là dell’esito, sento di dover rivolgere a tutti un appello per la distensione e affinché prevalga in ognuno il senso di responsabilità, in primis all’interno dei partiti politici.
Ora bisogna ripartire dalla rilegittimazione delle posizioni e delle opinioni di tutti – elemento essenziale e costitutivo di ogni democrazia – se si vuole un Paese che non sia frammentato e diviso e, dunque, incapace di sviluppo.
E un compito speciale in questo senso tocca al mondo cattolico che, pur avendo avuto posizioni diverse, deve indicare una strada in questa direzione. L’unica che può permettere a una classe politica ormai logorata di ricostruire il rapporto di fiducia con i cittadini i quali, come sollecitiamo ormai da anni, debbono tornare fortemente e direttamente protagonisti della scelta dei propri rappresentanti: il MCL farà la sua parte anche in questa direzione.
Adesso si deve lavorare ad una nuova legge elettorale che non sia modulata sulle contingenti, presunte, convenienze dell’uno o dell’altro partito (come è avvenuto per l’Italicum), ma pensata per rafforzare proprio il legame fiduciario e la stretta relazione elettore-eletto che sono la base di una rappresentanza degna di questo nome.