Ha ragione il direttore del Foglio, Claudio Cerasa: se si vuole andare alle urne subito, non c’è bisogno di aspettare le decisioni della Corte Costituzionale sull’Italicum (previste per il 24 gennaio prossimo). Una legge elettorale pronta (valida anche per la Camera dei deputati) c’è: è il cosiddetto Consultellum, nato due anni fa dalla revisione del Porcellum operata dalla stessa Corte. Esso disegna quel sistema proporzionale puro, con basse soglie d’accesso, che dovrebbe incontrare il pieno favore di chi sostiene il primato del principio di rappresentanza sul principio di governabilità (e, più in generale, dei nostalgici della Prima Repubblica). Il resto sono tutte manfrine per rosolare il Pd sulla graticola di quell’interesse generale del Paese invocato da molti, ma misconosciuto da (quasi) tutti.
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Le tecniche elettorali non ci arrivano tanto dai greci, che di norma ricorrevano al sorteggio, ma anzitutto dagli ordini religiosi, dai monaci arroccati nei conventi-fortilizi che nell’alto Medioevo dovevano eleggere i propri superiori. Non potendo ricorrere al principio ereditario, non restava che ricorrere al voto. Dobbiamo a loro l’invenzione delle regole maggioritarie. In realtà, alla fine l’elezione doveva risultare unanime. I riottosi, infatti, venivano convinti a bastonate. Con il metodo proporzionale forse non avrebbero mai corso questo rischio.
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Osservando le rotte di navigazione della legislatura che si stanno discutendo nelle consultazioni al Quirinale, la mia impressione è che “Non è pileggio [traversata audace] da picciola barca/ Quel, che fendendo va l’ardita prora,/ Né da da nocchier ch’a se medesmo parca [si risparmia per paura]” (Dante, Paradiso, Canto XXIII).
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Il vero, grande errore strategico di Matteo Renzi è stato quello di aver rotto il patto del Nazareno (errore che mi sono permesso di segnalare in tempi non sospetti su queste colonne). Scelta per un verso dettata da un eccesso di sicurezza nelle “magnifiche sorti e progressive” della sua leadership, per l’altro da una miope sottovalutazione della irriducibile ostilità nutrita dalla sinistra interna del Pd nei suoi confronti (ostilità di natura antropologica, prima che politica). Gli altri difetti che solitamente vengono imputati al presidente del Consiglio dimissionario sono secondari. Un dato mi pare comunque inoppugnabile: il referendum ha sancito una frattura non più ricomponibile con Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e soci. Esistono le scissioni di minoranza e le scissioni di maggioranza. L’impresa si presenta come ardua e irta di difficoltà, ma la creazione di un nuovo partito liberaldemocratico di massa (lo si chiami pure della Nazione, se si vuole) che rappresenti il meglio delle culture riformiste italiane ed europee, e che non rinunci a dare una risposta di governo ai problemi dell’Italia, è a mio avviso ormai indifferibile. Renzi ci pensi. Ritirarsi sull’Aventino o imbarcarsi in una logorante battaglia congressuale non gli conviene. Quel 40 per cento di Sì non è certo tutto un suo patrimonio personale, ma è una buona base da cui ripartire, magari con un occhio più vigile sulla questione giovanile, sulla questione meridionale e su quella delle crescenti disuguaglianze sociali. In fondo, l’idea di un nuovo “Campo progressista” lanciato da Giuliano Pisapia allude esattamente anche a questa esigenza.