Dimenticate per dieci minuti l’Europa e i suoi tormenti bancari e dedicateli alla lettura dell’ultimo report di Fitch sui rischi delle banche cinesi, che crescono insieme alla generosa messe di crediti concessa e quindi dei debiti dei beneficiati che li comprano. Poi comprenderete perché la Bce, nel suo ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria, abbia dedicato un approfondimento al rischio di contagio per le banche europee, che parte proprio dai paesi emergenti, dei quali la Cina rimane il campione. Alla fine sempre ai tormenti bancari europei si ritorna. Forse perché l’Europa non ha trovato nulla di meglio da fare con il suo attivo di conto corrente che prestarlo a mezzo mondo.
Comunque sia, “l’outlook per il settore bancario cinese è negativo”, scrive Fitch, “riflettendo la nostra osservazione che scarsa profittabilità e forte crescita del credito terranno la capitalizzazione sotto pressione”. Come se non bastasse, “l’alto e crescente leverage del settore corporate rimane il rischio chiave di fronte al quale si trovano le banche cinesi”.
Non che sia una novità. Da anni si rincorrono gli allarmi sulla tenuta delle banche cinesi e il livello esagerato di debiti delle imprese. La differenza fra allora e oggi è un deciso cambiamento del contesto internazionale cui corrisponde una minore tolleranza al rischio paese che la Cina incorpora e che ha determinato notevoli deflussi di capitale negli ultimi anni.
Peraltro, “il leverage continuerà ad aumentare, specialmente a livello corporate, almeno fino a quando si continuerà a contare sul credito per sostenere il Pil”. In particolare Fitch ha rivisto le sue stime di crescita dei debiti cinesi (FATSF, Fitch-adjusted total social financing/GDP) che dovrebbe raggiungere il 258% del pil entro quest’anno e il 274% alla fine dell’anno prossimo. La Cina rischia di fare sempre più la fine del Giappone.
Le autorità stanno tentando di promuovere i prestiti alle famiglie, ancora relativamente poco indebitate, ma anche qui la crescita del credito, che si concentra per lo più sui mutui, ha finito con l’incoraggiare un boom dei prezzi immobiliari capace di alimentare il boom dei credito corporate, visto che le aziende usano di solito come collaterale il mattone. Un gatto che si morde la coda e che rischia, piano piano di mangiarsela.
Non a caso l’agenzia si aspetta una crescita delle sofferenza bancarie (NPLs) mentre la profittabilità delle banche rimarrà stagnante e sotto pressione, anche per la continua migrazione di depositi verso i prodotti di risparmio gestito, i wealth management products (WMPs), che al momento pesano il 17% dei depositi e sono finiti ad alimentare il sistema bancario ombra, aggiungendo ulteriori tensioni al sistema cinese. La conseguenza di queste pressioni sono profitti fiacchi e pressioni sul capitale bancario, come una qualunque banca europea. O addirittura peggio. Fitch ha stimato che una risoluzione on/off del problema dei debito potrebbe provocare un deficit di capitale che varia dall’11 al 20% del Pil cinese. E poiché il sistema cinese, malgrado le apparenze, è legato mani e piedi allo stato, ciò significa una delle più grandi socializzazione delle perdite della storia. “Maggior debito corporate – sottolinea Fitch – è probabile migri verso il bilancio sovrano aldilà degli swap con i governi locali”, ossia dei debiti delle realtà territoriali che si sono accumulati come montagne dopo lo stimolo fiscale del 2009.
I debiti cinesi sono tante piccole montagne tenute fuori dal bilancio dello stato centrale. Finora. Per il momento gravano sui bilanci bancari. Che infatti scricchiolano.
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