Era un provvedimento atteso. Ed è arrivato, per alcuni con ritardo rispetto ai tempi del Giubileo della misericordia. Da ieri monsignor Lucio Vallejo Balda è tornato libero per decisione di Papa Francesco. Potrà trascorrere il Natale in famiglia, nella sua Spagna. Bergoglio ha concesso all’ormai ex segretario della Prefettura per gli affari economici della Santa Sede “il beneficio della liberazione condizionale”. Tecnicamente niente grazia. Come precisa una stringatissima nota della Sala Stampa Vaticana, “la pena non è estinta”.
SI CONCLUDE VATILEAKS 2
Protagonista di Vatileaks 2, Balda era stato condannato lo scorso 7 luglio a diciotto mesi di carcere per avere consegnato ai giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi documenti riservati sul lavoro della disciolta Cosea, la Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative della Santa Sede. Con lui era stata giudicata colpevole la comunicatrice e lobbista Francesca Immacolata Chaouqui: dieci mesi con pena sospesa per cinque anni. Prosciolti, invece, i due giornalisti italiani, finiti alla sbarra vaticana dopo la pubblicazione dei libri Avarizia e Via Crucis, che contengono diversi di quei documenti. Il provvedimento di clemenza – tiene a precisare la nota della Sala Stampa – arriva dopo che il monsignore “ha già scontato oltre la metà della pena”. Già, perché il sacerdote si era fatto parecchi giorni di custodia cautelare prima della sentenza, per tornarci a fine agosto per quasi quattro mesi ininterrotti. Ne usciva solo accompagnato, per prestare aiuto alla Casa Dono di Maria, il centro di assistenza per i poveri interno al Vaticano, affidato alle suore di Madre Teresa di Calcutta. Ora è (quasi) libero. E’ un ex dipendente del Vaticano, dove ha lavorato dal 2011. Torna alle dirette dipendenze del vescovo di Astorga (Spagna), sua diocesi di appartenenza, a cui dovrà rispondere fino all’estinzione della pena anche su eventuali condotte che potrebbero essere giudicate inconciliabili con la libertà condizionata.
IL PERDONO DELLA CHAOUQUI
“Allora vai prete, torna alla tua vita, riprenditela. Combatti ancora. Salvati. Di te mi resta la certezza che per un pezzo di strada siamo stati dalla parte dei giusti. E restano le cose che abbiamo fatto per la Chiesa. Buon cammino. Sii felice”. Così Chaouqui ha salutato sulla sua pagina Facebook la scarcerazione del monsignore, che definisce “il mio amico, il mio collega, il mio nemico. L’uomo che ho perdonato per il male inutile che ha provocato”. Toni ben diversi da quelli usati durante il processo e a fine agosto, quando a Balda fu revocata la semilibertà dopo che era stato trovato in possesso di un telefono cellulare e tornò in carcere, nella cella della Gendarmeria. Ma già da settimane l’atteggiamento di Chaouqui si è fatto più tenero. Anzi: a inizio novembre, sempre su Facebook, dopo il discorso del Papa per il giubileo dei carcerati, notò “lo scollamento fra le parole e i fatti” di Bergoglio, che in San Pietro chiedeva un atto di clemenza per i detenuti, mentre “Balda sta marcendo in cella”.
FRANCESCO E LA CLEMENZA
L’attenzione del Papa ai prigionieri è una delle caratteristiche più costanti del suo pontificato. In apertura dell’Anno Santo aveva invocato un gesto di clemenza verso i carcerati. Appello rinnovato all’Angelus del 6 novembre, per il giubileo dei detenuti. Un paio di ore prima, nell’omelia della messa coi carcerati, aveva detto: “Io vi dico che ogni volta che entro in carcere mi domando: perché loro e non io?”. Aggiungendo: “A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere”.
LEGGE BERGOGLIO
Quella clemenza Bergoglio non l’ha riservata durante il Giubileo all’unico detenuto nel “suo” carcere; un sacerdote condannato per una legge che lo stesso Papa ha voluto. Uno dei suoi primi atti di governo, a quattro mesi dall’elezione, è stato proprio il motu proprio con il quale Francesco ha introdotto una norma specifica per chi trafuga documenti, con pene previste da sei mesi a otto anni. Un aggiornamento dovuto alla vicenda Vatileaks 1, quando il maggiordomo di Benedetto XVI fu processato solamente per furto, l’unico applicabile in quel momento. Una nuova norma che Francesco ha difeso pubblicamente in un Angelus allo scoppiare del secondo Vatileaks, nell’autunno 2015: “Rubare quei documenti è un reato, un atto deplorevole che non aiuta”.
MISERICORDIA E “PEDAGOGIA”
L’attesa per un atto di clemenza verso Balda durante il Giubileo è stata elevata. Risulta che il monsignore abbia scritto al Papa chiedendo perdono. Dopo il provvedimento reso noto martedì sera nulla è trapelato di una visita di Bergoglio in carcere al sacerdote detenuto, come invece aveva fatto Benedetto XVI, che aveva incontrato l’ex maggiordomo in Gendarmeria a dicembre 2012, pochi istanti prima della sua scarcerazione, assicurandogli di persona il perdono e la grazia, sopraggiunta dopo un paio di mesi dalla condanna. A Paolo Gabriele fu inoltre trovato un lavoro come impiegato presso una cooperativa sociale che svolge servizi per l’ospedale Bambin Gesù, di proprietà del Vaticano. Perché tanta durezza di Francesco nella vicenda, si sono chiesti parecchi osservatori. Lo storico Alberto Melloni ha fornito un’interpretazione a inizio dicembre su Repubblica: il Papa “non vedeva in quel processo una procedura penale, ma un gesto pedagogico verso gli avversari”.