Carlo Calenda è arrivato come un ciclone annunciando che nei primi tre mesi avrebbe rovesciato come un calzino il ministero dello Sviluppo economico. Appena insediato, nei corridoi del palazzo progettato da Marcello Piacentini, lo avevano chiamato, con un sarcasmo che nascondeva il timore per il futuro, Calenda Cartago. Finora non ha sparso sale, semmai ha portato pepe, un cambiamento culturale non solo organizzativo, a cominciare dalla funzione stessa del Mise: non più ospedale della crisi, ma centro strategico di una politica industriale basata sui fattori e non sui settori, sulla difesa dell’industria italiana piuttosto che dell’italianità, come ha spiegato lo stesso ministro.
Il rifiuto del dirigismo pianificatorio non è nuovo, ma nuovo è il modo in cui viene perseguito. Durante la lunga recessione il Mise è stato occupato soprattutto dai cosiddetti tavoli di crisi. Ce ne sono molti anche oggi, sia chiaro. Basta scorrere l’agenda quotidiana: Alcoa, Natuzzi, Almaviva, Novelli, Isotta Fraschini, Cementir, Agfa Graphics, sono solo alcuni nomi eccellenti di questa spoon river industriale. Per non parlare dell’Ilva di Taranto congelata dal 2013 nel limbo della gestione commissariale; il colosso siderurgico è esso stesso sul crinale dell’italianità e il prossimo anno una scelta diventerà inevitabile.
Il quotidiano, le risposte caso per caso, tutto ciò diventa paralizzante, ma Calenda non vuole farsi intrappolare. Nel suo esordio, il 6 maggio davanti a Confindustria, ha spiegato chiaramente la propria visione: “La crescita della produttività deve essere al centro della nostra azione. Sono convinto, non da oggi, che il nostro futuro si gioca sul versante delle politiche dell’offerta. I tre assi fondamentali saranno innovazione, internazionalizzazione e crescita dimensionale. L’innovazione avrà come perno il nuovo manifatturiero, quell’Industria 4.0 di cui molto si parla ma che per ora ha prodotto poche iniziative concrete, e non solo in Italia”.
Nella legge di bilancio 2017, il governo ha varato un piano triennale di incentivi fiscali automatici per 20 miliardi di euro. Le imprese potranno ammortizzare dal 140 al 250% gli investimenti informatici e beneficiare di un credito d’imposta del 50% per le spese in ricerca e sviluppo. Calenda si aspetta un aumento di 10 miliardi degli investimenti innovativi già nel 2017 e altri 10 miliardi in r&d entro il 2020. Sia le cifre sia il metodo hanno suscitato una reazione critica da parte di Mariana Mazzucato. L’economista italoamericana che insegna in Inghilterra ed è diventata la musa del revival neo-statalista, non ama gli incentivi e vorrebbe che il governo investisse direttamente. “Per adesso le cifre che sto sentendo sono penny, cioè pochissimi soldi”, ha dichiarato. Calenda non ha perso la battuta: “Spiccioli? 14 miliardi di euro sono penny?”, ha replicato su Twitter che usa forse ancor più di Matteo Renzi.
Il ministro, del resto, non si sottrae alle polemiche né alle battute, soprattutto quelle che hanno un chiaro impatto mediatico. Lo si è visto con Boris Johnson, ministro degli Esteri britannico, alfiere della Brexit, e lo scontro dialettico sul prosecco contro le fish&chips. Un contrasto tra due personaggi pieni di temperamento che, in realtà, mostra come Calenda intenda le relazioni con i partner internazionali e il rapporto con l’Unione europea. Gli interessi nazionali non si difendono con il protezionismo, ma richiedono uno scambio alla pari. Nel periodo in cui è stato rappresentante del governo a Bruxelles – scavalcando la tradizione che voleva la poltrona affidata a diplomatici di professione –, ha mostrato un atteggiamento meno remissivo, anche se ha mollato dopo appena 50 giorni, suscitando sorpresa e polemiche, presto sopite.
Figlio di un economista, Fabio, e della regista Cristina Comencini, Calenda, a 43 anni ha già una lunga esperienza à coté dell’industria manifatturiera (il suo mentore è Luca di Montezemolo che nel 1998 lo ha portato alla Ferrari). È arrivato al Mise nel 2013 in qualità di vice ministro, ma è emerso come personalità di spicco nell’esecutivo di Matteo Renzi. Non sappiamo se il governo di Paolo Gentiloni durerà fino al 2018, ma difficilmente smetterà di brillare la stella di Carlo Calenda, la cui lealtà al presidente del Consiglio è fuori discussione. A chi lo vede nei panni di erede e successore a palazzo Chigi, il ministro risponde facendo spallucce e guardando al lavoro che lo attende. Per quel che ha già fatto, non sorprenderà se lo abbiamo nominato Formica dell’anno 2016.