Se non è un allarme, poco ci manca. Di sicuro è un utile promemoria quello che ci propone il Fmi in un articolo dove osserva che i prezzi globali del mattone, calcolato sui dati di 57 paesi, sono tornati al livello del 2007, come si può osservare agevolmente da questo grafico.
Da qui la domanda dell’autore: è il momento di preoccuparsi nuovamente? A giudicare dalla rapida inclinazione della curva di crescita dei prezzi, che si osserva dal 2000 in poi, e la correzione relativamente contenuta registrata fra il 2008 e il 2012, anno dal quale i prezzi hanno iniziato a recuperare, la domanda sembra assai sensata. All’apice del picco, che poi è dove ci ritroviamo adesso, l’indice pesava il 50% in più della base dei primi anni 2000. Quindi c’è molto che può andar male.
Il Fmi, tuttavia, invita alla prudenza più che sollevare allarmi. “E’ tempo di vigilare, non di panico”, scrive. E ciò principalmente per due ragioni. La prima è che “a differenza del boom degli anni 2000, il boom attuale non è sincronizzato fra i diversi paesi, e pure all’interno dei paesi è spesso ristretto a poche città”. Inoltre “il boom non è guidato da una forte crescita del credito: alcuni incrementi di prezzi sono determinati da restrizioni nell’offerta”. La seconda ragione è che i paesi hanno imparato la lezione della crisi e quindi sono “più attivi nell’uso delle politiche macroprudenziali per frenare gli eccessi”. L’articolo riporta la dichiarazione di un ex vicedirettore del Fmi secondo cui “l’età della disattenzione sui boom dei prezzi immobiliari è finita”.
Rimane il fatto che gli stessi punti di forza possono rappresentare punti di debolezza, a voler fare l’avvocato del diavolo. Se guardiamo in Cina, per fare l’esempio di un paese che ha conosciuto un notevole boom, notiamo che a Pechino i prezzi, aggiustati per l’inflazione, sono saliti di circa il 25% l’anno negli ultimi tempi, segnando “il più grande boom mai visto nel mercato immobiliare”. La circostanza che altre aree della Cina abbiamo registrato incrementi più contenuti non toglie forza all’argomento che il boom pechinese, dove abitano milioni di persone, generi rischiosità assai maggiori, per non dire sistemiche, di qualunque altro in Asia. Giova poco rilevare che c’è assenza di sincronicità, quando conosciamo bene la potenza dei canali di contagio. Giusto per la cronaca, ai primi di dicembre l’ European Systemic Risk Board ha pubblicato una serie di warning su vulnerabilità di medio termine per Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, Olanda, Svezia, Regno Unito. Ossia centri economici e finanziari di tutto rispetto, profondamente interconnessi col resto del mondo. E scusate se è poco.
Anche il richiamo alle politiche macroprudenziali rischia di essere un’arma spuntata. Chi ha la memoria lunga ricorda ancora le parole rassicuranti che gli organismi internazionali elargivano sulla robustezza dell’infrastruttura finanziaria e la sua stabilità prima della crisi. Poi si scoprirono i debiti immobiliari subprime.
Quindi, niente panico, per carità. Ma occhi aperti e tanti scongiuri.
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