Non si è finito di commentare l’improvviso cambiamento, da parte della Vigilanza unica di Danièle Nouy, relativamente all’ammontare della ricapitalizzazione necessaria per il Monte dei Paschi di Siena, elevata da 5 a 8,8 miliardi, e già nuove indiscrezioni rappresentano questo nuovo ammontare come riducibile, secondo la stessa Vigilanza, in base a quelli che saranno i contenuti del nuovo piano industriale che sarà presentato dal Monte scontando l’ingresso dello Stato con la maggioranza assoluta. Insomma, secondo queste notizie non ufficiali, il limite anzidetto sarebbe mobile. Se ciò, nell’ipotesi che corrispondesse al vero, potrebbe avere una sua logica, tuttavia un tale modo di procedere accentuerebbe l’inadeguatezza della funzione di Vigilanza, che continua a mostrare un comportamento fluttuante e imprevedibile. Del resto, il fatto che la decisione sul Monte non abbia riscosso un voto unanime nel Supervisory Board e che tra i contrari (o, comunque, coloro che non hanno votato) vi sarebbe anche Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d’Italia, grande esperto di finanza e credito a livello internazionale, dimostra la non solidità delle ragioni alla base della deliberazione.
La motivazione addotta a maggioranza dal board secondo la quale, con l’intervento dello Stato, le sofferenze lorde per 27 miliardi resterebbero all’interno della banca è puerile, perché non è immaginabile che la mano pubblica non si ponga il problema dell’eliminazione della zavorra dei crediti deteriorati, quasi che questi sarebbero stati un problema se si fosse rimasti nella soluzione di mercato, ma non lo fossero più ora che si è scelta la via della transitoria pubblicizzazione, perciò possono assurdamente rimanere nel bilancio dell’istituto. Si è, allora, in attesa di conoscere quel che al riguardo il Monte programmerà? Ma ciò non è affatto una buona ragione per innalzare del 75% circa l’ammontare dell’aumento di capitale, così come non lo è, al fine di tale variazione, l’intento di rimborsare le obbligazioni subordinate soprattutto retail con obbligazioni senior, dal momento che, da tempo, si sapeva che per le prime bisognava ricercare una soluzione che non desse la stura alla proliferazione di controversie.
Dal punto di vista tecnico, le argomentazioni palesi e quelle che filtrano o si intuiscono della Vigilanza unica sono fragili, ai limiti dell’inconsistenza. Dal lato della valutazione dell’opportunità e degli impatti che un pregiudiziale rigorismo esercita, più che fragilità, vi è una totale miopia.
A questo punto, è singolare che il governo incassi, senza colpo ferire, un tale presunto verdetto. Se, dunque, era già a conoscenza dell’inopinata (per i più) variazione, allora avrebbe dovuto evitare di far trascorrere il tempo con il tentativo della soluzione di mercato, ma avrebbe dovuto imboccare la strada della maggiore drasticità, ammesso che ne condividesse le motivazioni (non bisogna dimenticare, infatti, che l’aumento della dotazione di capitale si connette pur sempre a uno stress test fallito per l’istituto, fondato su di uno scenario di assai improbabile verificabilità). Se, invece, anche il governo è stato colto di sorpresa, dopo che vi saranno stati molti contatti con la Vigilanza in questi mesi, allora la sua rinuncia a muovere critiche alla decisione appare inspiegabile.
Comunque, poiché l’attuazione dell’operazione in questione esige l’accordo sia della Vigilanza sia della Commissione Ue, a questo punto occorre essere rassicurati sull’inesistenza di altre sorprese. È un dovere, questo, dell’esecutivo che, nelle scorse settimane, aveva confermato la proficuità dei rapporti con questi organismi. Ma, poi, con una più ampia prospettiva, dovrebbe essere venuto il momento di reagire: una Unione bancaria che si è tradotta solo nella funzione di controllo, pessimamente gestita, e che tuttora manca del Fondo europeo di risoluzione e dell’assicurazione, pure europea, dei depositi, è una unione monca e, di questo passo, dannosa. La questione va sollevata in tutte le sedi comunitarie con urgenza. Sarebbe illusorio pensare di scambiare concessioni in tema di finanza pubblica con un atteggiamento distaccato in materia bancaria, mentre si constatano le conseguenze negative per l’operare dei controlli e si mantengono inalterate anche differenze normative che agevolano alcuni Paesi e danneggiano altri, tra i quali il nostro. La questione bancaria va affrontata con organicità e prontezza. A maggior ragione se si ritiene, come nella sostanza è, che il sistema è complessivamente solido e che, dunque, è lontanissima una crisi sistemica. Certamente vi è un problema di alleanze e di convergenze, ma almeno va tentato con decisione il modo di conseguirle per le necessarie modifiche nelle norme e nei comportamenti.
(Pubblicato su Mf, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)