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Perché l’ambasciatore britannico a Bruxelles, Ivan Rogers, si è dimesso

mercati, Theresa May, Brexit, Gran Bretagna

Bruxelles ha subito ripreso il lavoro con il nuovo anno. La presidenza maltese è iniziata con Capodanno, Ivan Rogers, rappresentante permanente britannico presso l’UE, si è dimesso il 3 gennaio, il 5 e 6 gennaio sono giorni di riunioni per il Comitato politico e di sicurezza e per il Comitato militare, la prossima settimana si ricomincia con il Consiglio e il Parlamento europeo. La prima notizia dell’anno europeo è però tutta sulla Brexit.

L’AGENDA EUROPEA PARTE CON LA BREXIT

Sir Ivan Rogers ha annunciato il 3 gennaio la sua intenzione di lasciare il posto di Rappresentante permanente britannico presso le istituzioni europee con una lettera al suo staff diplomatico di Bruxelles. I media di Londra l’hanno largamente ripresa, mostrando gli elementi di critica agli ambienti governativi di Theresa May, produttori di “ragionamenti confusi” e “argomenti infondati”. Rogers, in carica a Bruxelles sin dal 2013 su nomina di David Cameron, era stato criticato a dicembre dall’area pro-Brexit per aver sostenuto in una nota che sarebbero occorsi dieci anni per negoziare un accordo di libero scambio con l’Unione europea.

La sua partenza da Bruxelles lascia intendere che il sostituto sarà maggiormente convinto della bontà e della necessità della Brexit, anche se con minore conoscenza degli ambienti europei. In sintonia e anticipazione con i tempi di crisi politica e con i nuovi modelli simboleggiati da Trump, il governo britannico punterebbe a un accordo in breve tempo e con soluzioni anche dure, cioè capaci di provocare significativi effetti  economici e sociali.

IL DISCORSO DELLA MAY PER IL PRIMO DELL’ANNO

Non a caso, il discorso del primo ministro britannico, Theresa May, per il primo dell’anno è stato rassicurante, con richiami all’unità rispetto alla frattura in due campi determinata dal referendum del 23 giugno, e con un appello all’interesse nazionale come chiave per il negoziato. Pur riconoscendo la necessità per gli altri Paesi dell’Unione di continuare a lavorare insieme, la May ha riproposto l’immagine di un Regno Unito “più forte” con la Brexit. E’ l’evocazione di un modello di Stato nazionale in relazione concorrente con gli altri Stati – westfaliano o alla Morgenthau – rispetto al multilateralismo cooperativo prevalente negli ultimi decenni, che la stessa May ha già criticato, per esempio auspicando da ministro degli interni l’uscita del Regno Unito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

DAL MULTILATERALISMO COOPERATIVO ALL’INTERESSE NAZIONALE

La visione del Rappresentante uscente era dunque in contrasto anche culturale con il nuovo governo britannico. Stando alla grammatica attuale – e non a quella futura alla Trump o alla Farage – occorre effettivamente come minimo un triennio per negoziare un accordo di libero scambio di formato semplice, per proteggere gli interessi nazionali, evitare trappole e capire Bruxelles bisogna avere esperienza e competenza, la dotazione di saperi e negoziatori nell’amministrazione britannica è inferiore a quella delle istituzioni europee e gli stessi rapporti economici e di forza non sono paritari. Viceversa, da Londra, i Brexiteers ricordano che il mondo è cambiato, e con esso anche i linguaggi e i metodi, più politici e forse a rischio d’improvvisazioni, ma più determinati verso percorsi nuovi. Sono due visioni politiche dunque, tra un pensiero dominante multilaterale e cooperativo – anche raffinato e tecnico – e gli slanci neo-nazionali di ritorno, meno tecnici o competenti ma più volontaristi. Bisognerà vedere quali saranno i risultati di questo confronto.

Sarà dunque un anno interessante e ricco di sfide anche sulla Brexit, an exciting year ahead, come ha scritto il dimissionario ambasciatore Ivan Rogers nella sua lettera.



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