C’era un tempo in cui i disabili si chiamavano “storpi, mutilati e paralitici”. Proprio così. Non sono un’amante del politically correct a tutti i costi ma, oggi, pensare che un bambino possa essere definito storpio fa venire i brividi. Erano gli anni in cui una marchesa con una sfilza di cognomi decide di occuparsi di questi bambini per dare loro un futuro. Si chiamava Leonarda Mortillaro di Ciantro Soprano. Ma per gli amici era semplicemente Dina.
Negli anni ’30 del Novecento, Dina fonda l’istituto che prende il suo nome da sposata: Leonarda Vaccari. In quegli anni, le scuole non avevano programmi di inserimento dei bambini con disabilità. Dina crea un sistema scolastico di base: materna, elementari e avviamento professionale, con l’idea, rivoluzionaria per i tempi, che nessuno si deve rassegnare, tutti hanno la possibilità di sviluppare capacità e risorse sia fisiche che mentali. Negli anni in cui un personaggio come Bebe Vio dimostra al mondo intero che tutto è possibile, questo principio sembra scontato ma, ai tempi, non lo era affatto. E, anche oggi, rimane molta strada da fare. Il principio del recupero e della dignità del disabile, infatti, è assodato solo nella teoria ma purtroppo non sempre segue la pratica.
Ne abbiamo parlato con Saveria Dandini de Sylva su PRIMOPIANOSCALAc di Telos A&S. Saveria, nipote di Leonarda Vaccari e presidente dell’Istituto, si occupa di handicap dal 1990. Nella sua intervista, ha ricordato come l’Italia sia stato un Paese all’avanguardia per l’inserimento dei disabili nelle scuole, con una legge del 1977 messa a punto dall’allora senatrice Franca Falcucci. Saveria Dandini ha sottolineato anche l’importanza della legge sul “Dopo di noi”, recentemente approvata dal Governo Renzi, che assicura l’assistenza dei disabili dopo la morte delle persone che si prendono cura di loro.
Tuttavia, malgrado in Italia ci siano delle buone norme, spesso la loro applicazione lascia a desiderare. Ci si perde nell’integrazione tra le leggi nazionali e regionali, i regolamenti e le delibere varie. Chi, come me, si occupa di lobby – di rappresentanza degli interessi presso il decisore pubblico – conosce molto bene questa situazione. E, purtroppo, la conoscono molto, troppo bene anche i disabili e le loro famiglie che, spesso, per ottenere un diritto, perdono tempo, energie e soldi.
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