“Il problema non è l’islam, ma l’islam politico: l’islamismo. Cioè un’ideologia. Non è favorendo un’ideologia religiosa moderata che l’Europa combatterà quella estremista del terrorismo. Nel mondo dell’ideologia vince il più fanatico e organizzato, che arma la cultura della violenza”. Parla Wael Farouq, egiziano e musulmano, docente di Scienze linguistiche all’Università Cattolica di Milano.
Professore, è quanto sta accadendo in Turchia?
L’attentato di Istanbul è conseguenza del sostegno di Erdoğan ai gruppi combattenti islamisti in Siria, come al-Nusra. Potenze regionali come il regime di Erdoğan pensano di poter controllare gruppi come al-Nusra per poterli usare per i propri scopi. Forse possono controllare il destino del gruppo intero, ma non le migliaia di individui che a questo gruppo appartengono, cui è stato fatto il lavaggio del cervello e sono pronti a farsi esplodere in nome di Dio. Alcuni autori occidentali hanno propagandato Erdoğan come simbolo di un islamismo moderato, ma in quest’ultimo anno ha rivelato il suo volto autoritario.
Dobbiamo preoccuparci per quanto accadrà ora?
In Siria l’Occidente ha compiuto il grave errore di sostenere, nei primi anni del conflitto, i gruppi islamisti armati, presentandoli come combattenti per la libertà. Ora migliaia di giovani europei che si sono arruolati in questi gruppi e hanno giocato un ruolo in questa guerra, cosa faranno se l’accordo di pace avrà successo? Non penso che torneranno in Europa per riposarsi, ma per continuare la loro lotta e vendicare la caduta del Califfato. È già successo negli anni ’90, quando, finita la guerra in Afghanistan contro i sovietici, i combattenti islamici sostenuti dall’Occidente sono tornati in Algeria, Egitto e Tunisia e abbiamo avuto un decennio di terrorismo. Ma spero di sbagliarmi.
Ricevere gli auguri per il nuovo anno offende la sua sensibilità religiosa?
È una domanda stupida: solo chi è chiuso nel suo mondo, di paura e di indifferenza, non riesce a vedere come nei paesi musulmani si festeggi. A Baghdad c’è l’albero di Natale più alto del mondo. Milioni di cristiani e musulmani festeggiano insieme. Copti e presidente del governo hanno festeggiato il Natale ortodosso in Egitto, il 7 gennaio. Al Cairo le donne musulmane comprano pupazzetti di Babbo Natale. Cerchiamo di guardare a tutta la realtà. A Milano, dove vivo, i miei tre figli, vestiti da angeli, hanno partecipato insieme a decine di altri bambini, musulmani e cristiani, al presepe vivente organizzato dalle suore di via Martinengo. Questo lo vogliamo raccontare?
In Turchia sono stati diffusi sermoni contro le festività natalizie. Alcuni giorni fa l’imam Hocine Drouiche ha denunciato come la maggior parte degli imam in Francia e in Belgio abbiano proibito ai fedeli di festeggiare il Natale e il Capodanno.
Sono sciocchezze di qualche bastardo che imprigiona i musulmani in uno stereotipo. Le fatwā dello sheykh di al-Azhar, la più alta autorità religiosa islamica, e il Gran Mufti d’Egitto hanno chiarito che non c’è nulla di contraddittorio con l’islam nel festeggiare il Natale. Non dobbiamo nascondere che ci sono imam e musulmani preda dell’ideologia, ma facciamo un grande male a tutti a stare allo stereotipo. Il mondo è più largo degli imam del Qatar o della Turchia.
In Europa ormai si vive sotto pressione. Come si fa a non sospettare dei musulmani?
Sotto pressione si vive anche in Siria, a Baghdad, e in Egitto, che sta soffrendo il terrorismo contro musulmani e cristiani da anni. E chi è che reagisce all’Isis? I giovani musulmani iracheni, curdi, egiziani, che hanno liberato villaggi cristiani in Siria, rimesso la croce su alcune chiese in Iraq. Il problema dell’Occidente è un altro.
Prego.
Lo sanno tutti che in Arabia Saudita la preghiera del venerdì si chiude domandando a Dio di distruggere cristiani ed ebrei. Sappiamo chi è che finanzia l’Isis, chi celebra queste liturgie del male. Lo sanno i governi occidentali, ma non muovono un dito.
Tutti sanno che la fonte del terrorismo è l’ideologia wahhabita adottata dall’Arabia Saudita. Ma al contrario che nel caso dell’Iran, del Sudan, della Corea del Nord, all’Arabia Saudita non si impongono sanzioni e nemmeno la si critica. Al contrario, l’Arabia è stata eletta al Consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Non crede che l’estremismo sia soprattuto un problema interno all’islam, che spetti all’islam risolverlo?
Il conflitto teologico dentro l’islam (fra musulmani e islamisti, sunniti e sciiti, ecc.) esiste e l’Occidente non dovrebbe esservi coinvolto. Ma in realtà l’Occidente è profondamente coinvolto nel conflitto politico ed economico che sfrutta queste differenze teologiche dentro l’islam. Il problema è che non c’è volontà di affrontare i notissimi finanziatori dell’ideologia che alimentano il terrorismo. Per evitare di affrontare questo problema, si preferisce parlare dell’islam in generale e in maniera astratta. Così facendo, si evita di identificare il colpevole e, di conseguenza, si colpevolizzano tutti i musulmani, anche quelli che combattono questa ideologia e il terrorismo.
I terroristi parlano di cristiani infedeli. Uccidono i cristiani. Come non leggerci una guerra di religione?
Perché è un falso, contro la scienza e la storia. Non dobbiamo guardare alla religione, ma alla religiosità che non si può capire se non si contestualizza. L’islam egiziano per come viene vissuto e celebrato è molto più vicino al cattolicesimo italiano di quanto quest’ultimo lo sia al protestantesimo svedese. Ovviamente le religioni sono diverse, ma il senso religioso ci avvicina. Penso al fatto che in Egitto il Corano viene cantato, come i salmi nelle chiese; alle tradizioni alimentari, al senso della bellezza. Se stiamo al senso religioso delle persone, l’Egitto è molto lontano dall’Arabia Saudita e più vicino all’Italia, e l’Italia è molto più lontana dalla Svezia che dall’Egitto.
Francesco e Benedetto XVI. Due pontificati in continuità nel dialogo con l’islam?
Assolutamente sì. Sono due stili diversi, ma i princìpi sono gli stessi. Anzi: Benedetto XVI ha lodato l’islam molto più di Francesco. Penso a un discorso in cui per rispondere alle grandi sfide di oggi invitava a riscoprire le grandi tradizioni religiose. Ha nominato il cristianesimo e l’islam. Francesco non ha mai scritto qualcosa di così forte.
Proprio citando Benedetto XVI lei spesso ricorda come nichilismo e fondamentalismo sono accomunati dal comune disprezzo per Dio e per l’uomo: il primo perché nega la verità, il secondo perché vuole imporre la sua verità. Viene in mente il protagonista di Sottomissione di Houellebecq, annoiato e impermeabile a quanto accade, che alla fine, da occidentale, pensa che la felicità sia la sottomissione a un islam radicale.
Lasciamo stare quel romanzo, che è l’esempio della stereotipizzazione dei musulmani operata in Occidente. È vero: in Europa oggi c’è più radicalizzazione di quanto avveniva negli anni Novanta. Hanno preso quota elementi che non c’entrano con l’islam. Ma anche l’Occidente ha le sue responsabilità. Da una parte per la propaganda islamista moderata che non disturba gli stati laici e di sinistra, e dall’altra per la propaganda della destra estremista contro i musulmani.
Cosa possiamo fare per invertire la rotta?
Si dice: dobbiamo integrare gli immigrati. Sì, ma a cosa? Un uomo può essere integrato in una società, in una comunità. Non ci si integra a delle leggi e delle regole. Quella è sottomissione. Quando una società perde la sua dimensione culturale e spirituale, non mette più al centro la persona, diventa una società sottomessa. Gli immigrati, tutti abbiamo bisogno di incontrare altre persone, degli uomini che facciano una proposta. Questo fa il cambiamento. Ciascuno di noi in Europa può essere il cambiamento di un immigrato che per varie ragioni è dovuto venire a vivere qui. L’integrazione non è un lavoro del governo, ma di tutti, di chi crede nel suo ideale e allora diventa testimonianza continua a questo ideale. Se non ci sono testimoni di bene e di vita, l’integrazione non avviene. Così la radicalizzazione di alcuni musulmani diventa più probabile. L’alternativa al vuoto che viene loro offerto può essere l’ideologia di morte dell’Isis.