Spesso si definisce un’organizzazione o un’azienda innovativa solo perché opera in settori nuovi, o considerati tali dai media. Ma è un errore perché anche in tanti settori ‘tradizionali’ ci sono aziende e organizzazioni che fanno innovazioni di processo, di prodotto o dell’offerta. E dietro a tutte queste innovazioni, ci sono donne e uomini che amano il proprio lavoro.
Persone che hanno fatto loro il proverbio africano “Chi vuole sul serio qualcosa trova una strada, gli altri una scusa” e che sanno che la vera innovazione è quella condivisa in grado di generare benessere per la collettività.
Quest’intervista fa parte della rubrica Innovatori pubblicata su www.robertorace.com. Uno spazio in cui proviamo a raccontare le storie degli Innovatori, a scoprirne modi di pensare, predilezioni e visioni del mondo. Cercando di capire meglio cosa ci riservano presente e futuro.
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“Se funziona è vecchio” per Carlo Bagnoli vale non solo per i prodotti, ma anche per le imprese, ritenendole il vero prodotto per un imprenditore. Professore di Innovazione Strategica presso il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari, dove è anche Delegato del Rettore all’Innovazione strategica. Pioniere dell’importanza di affiancare all’innovazione tecnologica anche quella strategica, ha fondato nel 2016 Strategy Innovation Srl, spin-off dell’Università Ca’ Foscari Venezia per condurre progetti di ricerca-intervento. Autore di più di 65 pubblicazioni scientifiche, l’ultimo sforzo editoriale è intitolato “Lo Strategizing in contesti complessi”, è editore in chief del Journal of Strategy & International Studies. Promotore di numerosi progetti di didattica innovativa nei quali cerca di mettere in relazione i migliori studenti universitari con i più illuminati imprenditori italiani, è membro del comitato tecnico-scientifico di Confindustria Piccola Industria. Promotore del Competence center del Polo Universitario delle Venezie previsto dal Piano Nazionale Industria 4.0.
D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Un innovatore è chi di fronte a qualsiasi situazione non finisce mai di porsi le seguenti 3 domande fondamentali: “Perché?”; “Perchè no?” e “Cosa succederebbe se?”. Alla fine è un “Whynotter” e non un “Yesbutter”. Esistono sempre mille ragioni per mantenere lo status quo, ma una veramente importante per cambiarlo che si chiama progresso, avanzamento, miglioramento. Questo perché le persone e le organizzazioni, al pari di qualsiasi essere vivente, non possono rimanere ferme e quindi o progrediscono o regrediscono.
D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. Se fosse nota non sarebbe un’innovazione. Ritengo però fondamentale il ruolo dell’innovazione sociale intesa come l’innovazione perpetuata dalle aziende per soddisfare bisogni sociali che non possono essere soddisfatti, almeno secondo le logiche tradizionali, a condizioni di mercato. Credo che le sfide sociali siano per le aziende quelle più importanti da porsi perché stimolano ad affrontare problemi in modo diverso che possono poi portare a creare nuovi mercati nei quali generare elevati profitti. Il caso di Grameen Danone o di Embrace sono esempi eclatanti di come la responsabilità sociale e il profitto individuale siano elementi solo apparentemente contrapposti.
D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Di essere un visionario, ma anche di rendere la sua visione emotivamente coinvolgente per i collaboratori al fine di dare significato al loro lavoro. Una volta il modello socio-economico era basato su una netta distinzione tra il tempo dedicato al lavoro visto come un sacrificio e quello dedicato alle passioni, agli affetti, ecc. visto come un beneficio. Si lavora otto ore per generare le condizioni economiche per svagarsi altrettante ore. L’avvento di internet e la costante connessione che ormai sperimentiamo hanno dilatato il tempo dedicato al lavoro e quindi l’equilibrio del modello socio-economico tradizionale salta. I lavoratori devono quindi trovare beneficio anche durante il tempo dedicato al lavoro e questo è possibile solo se ciò che si fa ha un significato profondo e coinvolgente, se ci si sente parte di una grande impresa sia nel senso di azienda, sia nel senso di missione (im)possibile.
D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Purtroppo non ho avuto grandi insegnanti, persone cioè che hanno lasciato un segno nella mia vita. Questo mi permette oggi di non dover ringraziare nessuno, ma mi ha costretto nel passato a commettere molti sbagli.
D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. La mia più grande paura è non aver contribuito in nessun modo a lasciare ai miei figli e ai miei studenti il Mondo, l’Europa e in particolare l’Italia un posto un po’ migliore di come era stato lasciato a me dai miei genitori e dai miei insegnanti. La mia più grande speranza è che i miei figli e i miei studenti possano imparare dagli sbagli della mia generazione per fare uno scatto deciso verso un progresso sostenibile. Credo che abbiano tutto sommato la possibilità di vincere facile questa sfida, basta che applichino il buonsenso come criterio decisionale.
D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Attualmente sto lavorando alla creazione di un Competence center del Nordest all’interno del Piano Nazionale Industria 4.0 lanciato dal Ministro Calenda. Assieme ad altri colleghi coraggiosi siamo riusciti a sviluppare un progetto mettendo assieme tutte e 9 le Università del triveneto. La sfida è enorme perché il nordest si caratterizza da sempre per un individualismo esasperato dove spesso l’importante è non stare meglio in assoluto, ma stare meno peggio del vicino. L’individualismo è da tutti riconosciuto come la principale causa alla base della perdita di competitività del nordest. Il segnale che è arrivato dal mondo Universitario ha fatto molto scalpore e speriamo che sia l’inizio di un nuovo rinascimento culturale. In futuro vorrei creare all’interno di Ca’ Foscari un luogo di vera contaminazione dove gli studenti agiscano come imprenditori e gli imprenditori come studenti, vorrei sperimentare dei progetti di vera didattica innovativa per preparare le nuove generazioni non ad affrontare il futuro, ma a modellarlo.
D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. La cosa che mi fa più emozionare sono le grandi imprese sportive, sociali, umanitarie, ecc. Quelle imprese, nel senso di missioni (im)possibili, dove le persone si mettono totalmente in gioco, anche rischiando in alcuni casi la vita, e riescono a vincere sfidando le leggi della logica, della fisica o del mercato. Mi riferisco, ad esempio, alla vittoria ai mondiali di calcio dell’Italia del 1982, ma anche al salvataggio dei migranti lungo le nostre coste. La cosa che mi fa più arrabbiare è il menefreghismo, l’individualismo, il cinismo e la sopraffazione dei più deboli, dei bambini in particolare, in quanto sono esseri puri.