Spesso si definisce un’organizzazione o un’azienda innovativa solo perché opera in settori nuovi, o considerati tali dai media. Ma è un errore perché anche in tanti settori ‘tradizionali’ ci sono aziende e organizzazioni che fanno innovazioni di processo, di prodotto o dell’offerta. E dietro a tutte queste innovazioni, ci sono donne e uomini che amano il proprio lavoro.
Persone che hanno fatto loro il proverbio africano “Chi vuole sul serio qualcosa trova una strada, gli altri una scusa” e che sanno che la vera innovazione è quella condivisa in grado di generare benessere per la collettività.
Quest’intervista fa parte della rubrica Innovatori pubblicata su www.robertorace.com. Uno spazio in cui proviamo a raccontare le storie degli Innovatori, a scoprirne modi di pensare, predilezioni e visioni del mondo. Cercando di capire meglio cosa ci riservano presente e futuro.
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“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare”. La frase che qualcuno attribuisce a Barzini è stata l’ossessione di Maurizio Carucci fin da ragazzo. Un obiettivo non facile. Una famiglia di carabinieri e preti: i genitori non l’hanno incoraggiato nella sua passione. Anche se a scuola studiava poco, andava bene e praticava molto sport. Oltre a coltivare tanti altri interessi, compresi il giornalismo e i programmi in una radio locale. Alla fine ha studiato anche da giornalista a Roma e Milano. E si è specializzato alla Scuola di giornalismo della Cattolica. Ma era già pubblicista e direttore di una radio locale. Purtroppo di soldi se ne vedevano pochi – alla faccia di chi crede che ci si diverta pure, facendo il giornalista – e la laurea in Lettere moderne garantiva solo il precariato come docente. E così ha cambiato una ventina di testate per approdare ad Avvenire, dove si occupa di economia e lavora sia per il sito che per il cartaceo.
D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Chi crede fino in fondo alle proprie idee e riesce a coinvolgere nel suo progetto anche i più diffidenti.
D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. Il ritorno alle attività che sviluppano i territori senza stravolgerli, tenendo conto delle potenzialità del digitale e della globalizzazione.
D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Dare sempre l’esempio e credere in ciò che si fa.
D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Monsignor Arturo Carucci.
D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. Non essere coerente. Mentre spero che i giovani imparino e lavorino anche all’estero, ma tornino per generare un circolo virtuoso
D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Continuare a occuparmi di lavoro per aiutare giovani e meno giovani a inserirsi o a ricollocarsi. Vorrei dedicarmi a un agriturismo e scrivere di enogastronomia.
D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. Un bel film. L’amore di mia moglie e delle due figlie. Mentre i furbi (in tutti i settori) mi irritano molto.