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Petrolio, ecco come l’Arabia Saudita punta a far cassa

Siamo davvero alla terapia-shock per l’Arabia Saudita se il Regno è pronto ad ammorbidire le severe norme “morali” pur di rimpinguare i forzieri dello Stato, depauperati dal crollo dei prezzi del petrolio. L’industria petrolifera rappresenta oggi per la monarchia (che detiene il 16% delle riserve mondiali di petrolio) circa l’87% delle entrate di bilancio, il 42% del Pil (che in tutto vale 646 miliardi di dollari) e il 90% dei guadagni dall’export. Quanto potrà durare? Il barile di petrolio costava 80 dollari a novembre 2014, a febbraio 2016 scendeva sotto i 30. Oggi si viaggia sui 50 dollari, ma non tutti gli analisti sono convinti che la ripresa durerà e comunque per molti l’Arabia Saudita non può sopravvivere con un prezzo inferiore ai 60 dollari. Una delle soluzioni? Fare cassa con gli spettacoli.

IN ARRIVO 450 TEATRI E CLUB

L’anno scorso i governanti sauditi sono corsi ai ripari con il piano Vision 2030, presentato dal 31enne principe Mohammed bin Salman, che delinea la strategia economica saudita nell’era post-oil, con una varietà di misure che includono la creazione di oltre 450 cinema, teatri e altri locali per l’intrattenimento entro il 2020. Attualmente la Polizia religiosa non ammette la musica, i film e i divertimenti, se non sotto forma di spettacoli educativi e morali e nei giorni scorsi il Grand Mufti Abdulaziz al-Sheikh ha ribadito che non dovrebbero essere permessi musica e film perché minano i valori morali dell’Islam importando contenuti stranieri e incoraggiando l’incontro tra i due sessi.

La stoccata è contro la neo-istituita General Authority for Entertainment che da quest’anno è pronta a potenziare le sue iniziative con l’obiettivo di raddoppiare la spesa delle famiglie saudite in attività ricreative portandola al 6% del totale – una percentuale rilevante se si considera che le famiglie Usa hanno speso il 4% in divertimenti nel 2015 – e creare 100.000 posti di lavoro. “Si tratta di un veicolo economico”, ha chiarito AlMadani, 36 anni, a capo dell’Autorità. I principi guida restano i valori della cultura e della religione araba.

“Accresceremo il numero e la varietà di attività culturali e di intrattenimento aprendo strutture dedicate e mettendo in evidenza i tanti talenti dei nostri cittadini”, dice il programma Vision 2030. “La trafila burocratica per aprire i locali sarà semplificata e daremo supporto finanziario al Daem, programma nazionale volto ad innalzare la qualità delle attività di intrattenimento”. Verranno promossi hobby e svaghi e anche gli scambi con esperienze internazionali.

I PRIMI SPETTACOLI

Nel 2016 la General Authority for Entertainment ha sponsorizzato il World Wrestling Entertainment a Riad (solo per uomini e bambini) e uno spettacolo con musica e auto che ha attratto 6.000 spettatori vicino Jeddah. SeaWorld Parks & Entertainment sta lavorando su un progetto saudita e Six Flags ha un accordo per aprire un parco tematico nel Regno.

A King Abdullah Economic City, a novembre, si è svolto uno spettacolo con artisti di Got Talent di tutto il mondo, in cui uomini e donne hanno potuto accedere alle stesse aree e le donne hanno potuto scattarsi i selfie e portare il rossetto. Le bambine hanno persino potuto ballare al ritmo della musica. Una vera rivoluzione, se si pensa che per la performance del comico canadese Russell Peters a Riad a gennaio 2016 uomini e donne sono stati tenuti separati.

Per molti le timide aperture dei regnanti sauditi non bastano, stando ai dati sulle code che si allungano nel fine settimana su King Fahd Causeway per andare nel Bahrain a vedere film e ascoltare musica: circa 5 milioni di macchine hanno attraversato la serie di ponti (15 km) nel 2015. Per gli artisti e i registi sauditi è invece Dubai la meta preferita: qui possono mettere in mostra il loro lavoro, a un pubblico che spesso, ironicamente, è per la maggioranza costituito da sauditi.

COSTI ECONOMICI

Un articolo pubblicato su Vox da Ryan Riegg, avvocato californiano che ha lavorato a Riad, illustra con precisa crudezza – volendo trascurare altri aspetti – i costi economici dei precetti religiosi e della segregazione tra i due sessi che escludono dalla produttività una fetta rilevante della popolazione. Certo, più donne arabe oggi studiano all’università e lavorano (21% di partecipazione della forza lavoro femminile, 8% in meno del livello degli Stati Uniti nel 1948), ma le donne svolgono solitamente mansioni poco pagate e poco qualificate (quasi tutte nel retail) per via di severe limitazioni: per esempio, non possono condividere l’ufficio con un uomo. Riegg racconta di aver provato ad assumere donne quando era avvocato a Riad ma si è reso conto che avrebbe dovuto, solo per fare alcuni esempi, sistemarle in stanze a due piani di distanza e passare i documenti sotto la porta così da non interagire di persona, e ha rinunciato per ovvi problemi di inefficienza.

RINNOVARE, CON AMBIZIONE

Uno studio dell’Ilo del 2012 ha calcolato che se i paesi di Medio Oriente e Nord Africa chiudessero il gender gap nella partecipazione al mondo del lavoro di 20 punti percentuali entro il 2017, il Pil complessivo della regione aumenterebbe di 415 miliardi di dollari. L’economia saudita rappresenta circa il 20% del Pil totale dell’area e potrebbe recuperare 80-100 miliardi di dollari. La riforma del “Vision 2030” prevede un cambiamento in questa direzione perché uno degli obiettivi è portare il tasso di occupazione femminile al 30%. Tuttavia secondo Riegg le donne continueranno a fare lavori meno qualificati e non ci sarà grande spazio per le laureate a causa delle limitazioni negli incontri tra i due sessi. Se a ciò si aggiungono altre restrizioni il peso sull’economia saudita potrebbe arrivare a 200 miliardi di dollari.

I regnanti sauditi ne sono ben consapevoli ma molto dipenderà dalla portata e dalla velocità del cambiamento che sapranno imprimere alla loro economia, e alla società. Anche la spinta verso lo sfruttamento dell’energia rinnovabile, con una spesa di 50 miliardi di dollari entro il 2023 e l’idea di diventare un importante esportatore, anche verso l’Europa (come ha dichiarato a Davos il ministro dell’Energia Khalid Al-Falih), dovrà essere più determinata e ambiziosa nei suoi obiettivi, ha ammonito un top executive della Saudi Electricity Company (SEC), o i benefici non saranno quelli attesi.


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