La prima quotazione del 2017 di una società tecnologica del made in Italy si celebrerà il prossimo lunedì a Milano. Il 20 febbraio, infatti, è il giorno fissato per il battesimo all’AIM di Piazza Affari di Telesia, la società romana leader nel segmento della cosiddetta Go TV, un comparto in forte crescita non solo in Italia. In un momento di forte volatilità delle borse internazionali, la quotazione di Telesia, azienda con interessanti tecnologie proprietarie di settore, è anche un segnale positivo del recupero di interesse degli investitori professionali per gli asset italiani di qualità. A presiedere Telesia quotata a Piazza Affari è stato chiamato Edoardo Narduzzi, unico consigliere indipendente del board, che con la sua pluriennale esperienza imprenditoriale nelle tecnologie dell’informazione e nei media deve dare un contributo professionale all’implementazione del piano industriale. Formiche.net ha approfittato della quotazione di Telesia per fare il punto con il neo presidente (commentatore storico della nostra testata, ndr.) sul mercato italiano della tecnologia.
Come nasce l’impegno in Telesia?
E’ stato Paolo Panerai che, insieme a Pierluigi Magnaschi, mi ha insegnato a tenere la penna in mano e a fare il giornalista che mi ha chiesto se ero disponibile a svolgere un ruolo così delicato ed importante soprattutto verso i nuovi soci di Telesia. Ho analizzato il progetto e la società e li ho trovati, non solo molto interessanti, ma molto professionalmente sinergici con la mia attività imprenditoriale.
Siete soddisfatti della quotazione?
E’ stato fatto un lavoro eccezionale considerate le incertezze che ci sono nei mercati finanziari internazionali e quelle specifiche dell’Italia. I nuovi soci di Telesia rappresentano un vero parterre de roi della finanza italiana.
Passiamo alla valutazione del mercato della tecnologia, che giudizio dà del nuovo anno?
E’ iniziato sicuramente meglio del 2016 ma è un mercato a velocità plurime quando si parla di tecnologia. I settori più tradizionali sono stagnanti, quelli legati all’omnicanalità e alla interattività in piena espansione. Per restare competitivi servono aziende capaci di pensare con lateralità e in grado di esprimere un tasso di energia di team e di organizzazione di molto al di sopra della media.
Insomma uno terremoto da digital transformation…
Ma no, la lettura tradizionale della digital transformation è banale e scontata. Quello che non si capisce è che siamo entrati in una dimensione che è già oltre Internet e le strategie consumercentriche. Il consumatore non c’è più è stato rimpiazzato dal comparatore compulsivo che in parte consuma, in parte condivide, in parte scambia altruisticamente e in parte co-produce. E poi il concetto di customer base, come l’abbiamo conosciuta negli ultimi decenni, non esiste più.
Non le sembra di spingersi troppo in là con la rottamazione?
Guardi nel 2005, cioè dodici anni fa, con l’amico Massimo Gaggi scrivemmo un saggio per l’Einaudi intitolato “La fine del ceto medio e la nascita della società low cost”. A chi parla oggi di populismo potrei semplicemente dirgli che avevamo previsto tutto con ampio anticipo nell’ultimo capitolo del nostro libro. Guardi le statistiche: non è vero che la torta non cresce più, la torta del benessere mondiale continua a crescere trimestre dopo trimestre. Quello che è cambiato, rispetto al passato, è un fatto semplicissimo: nella redistribuzione della nuova ricchezza prodotta su scala mondiale tutti guadagnano tranne un solo gruppo sociale. Una situazione nella quale tutti guadagnano tranne uno non è di ottimo paretiano ed è quindi intrinsecamente instabile e imprevedibile nelle evoluzioni. Il ceto medio occidentale, o quello che un tempo veniva chiamato così. Ovvio che la Brexit e l’elezione di Trump non possono sorprendere. Ma soprattutto non dovranno sorprendere i prossimi risultati nelle elezioni in Francia, Olanda ed Italia perché un occidente nel quale il ceto medio è diventato una classe massificata verso il basso in termini di potere di acquisto è un occidente che presenta alla politica tradizionale il conto dell’insuccesso e quello della storia.
Torniamo alla sua attività di imprenditore, come si è chiuso il 2016?
Bene in crescita ed in consolidamento. I numeri delle diverse società nelle quali ho investito sono molto migliori della media del mercato italiano.
Nuove iniziative in vista?
A novembre ho fondato SelfieWealth Ltd a Londra e sto attendendo che la FCA, la Consob britannica, mi dia l’autorizzazione ad operare come financial advisor. E’ un Robot, cioè un motore di intelligenza artificiale, pensato per supportare strategie attive di investimento finalizzate al Total Return. Il nostro modello di business è molto semplice: high quality, legata alle previsioni innovative ed uniche del nostro algoritmo proprietario, e low cost, in termini di fees e commissioni pagate dai nostri clienti. La finanza è come Uber: i tassisti lottano contro Uber senza capire che è già nel mercato l’auto che si muoverà senza autista e che rottamerà, contestualmente, tassisti ed autisti, Non sparirà, invece, Uber che probabilmente diventerà la più grande piattaforma al mondo per gestire il parco auto senza autista.
Qualche numero su SelfieWealth?
Molto incoraggianti. La stragrande maggioranza dei nostri utenti, che crescono alla media di una decina di unità al giorno, sono millenials, cioè il segmento di mercato che le banche tradizionali hanno più difficoltà a raggiungere.
Si ferma a SelfieWealth?
Dobbiamo fare pil, non le hanno detto che l’Italia cresce da anni allo zero virgola? Il prossimo mese lancio Bookiedom, intelligenza artificiale applicata alle scommesse sportive. Il target sono i mercati emergenti: Cina, Russia, Brasile. Un progetto affascinante di mass market.
Allora, in bocca al lupo per l’esordio di lunedì a Piazza Affari?
Dopo la quotazione di Vetrya a luglio per me è la seconda volta a Piazza Affari in pochi mesi. Stavolta porto con me mia figlia Ester Lucia, dodicenne. Con tutto il male che si può pensare delle borse e della finanza restano il miglior meccanismo inventato dagli uomini per creare e distribuire ricchezza in maniera meritocratica e per stimolare l’innovazione, soprattutto quella più distruttiva delle posizioni consolidate. Ai giovani, in tempi di populismo, è bene insegnare che la difesa delle loro libertà richiede impegno. Nulla può più essere dato per acquisito per sempre.