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Novak e le virtù imprenditoriali

Flavio Felice

“Il Sole 24 Ore”, 19 febbraio 2017

Con la morte di Michael Novak è scomparsa una figura di spicco del cattolicesimo liberale statunitense, sebbene lui preferisse l’espressione Catholic Whig. Nato nel 1933 a Johnstown, nel 1994 è stato insignito del 24° Premio Templeton e nel 1992 Margaret Thatcher gli ha conferito il premio Anthony Fisher per l’opera: The Spirit of Democratic Capitalism. Teologo e politologo, per anni ha diretto la Cattedra di Religion and Public Policy all’American Enterprise Institute di Washington DC.

L’itinerario intellettuale di Novak conosce un’importante tappa nel 1981 quando pubblica il primo volume della trilogia dedicata ad una filosofia d’impresa teologicamente pensata. Di questa trilogia fanno parte Toward a theology of the Corporation (1981), Business as a Calling. Work and Examined Life 1996 e The Fire of Invention. Civil Society and the Future of the Corporation (1997).

Il punto di partenza di tale prospettiva è che tra gli ordini che partecipano all’articolazione sussidiaria della società civile, in una società libera, c’è la comunità degli imprenditori. La teoria dell’agire imprenditoriale di Novak prende in considerazione alcune “virtù cardinali”, quei “doni” che la comunità degli imprenditori offre come proprio specifico contributo al tavolo della società civile. Tali virtù sono la creatività, l’amore per la comunità ed il senso pratico.

Per “creatività” Novak intende la virtù dell’iniziativa che sgorga dalla soggettività creativa, ossia l’inclinazione a cogliere, anche solo intuitivamente, ciò che altri non riescono a vedere. In questa declinazione riecheggiano le parole dell’economista neo-austriaco Israel Kirzner e la sua teoria della prontezza imprenditoriale. Per secoli si è creduto che la principale forma di capitale e di ricchezza fosse la terra, oggi è fuor di dubbio che l’inventiva e la scoperta sono universalmente considerate le cause di ricchezza più energiche che il genere umano abbia mai conosciuto. Corollario della creatività, allora, è la virtù dell’intrapresa economica.

Con riferimento alla seconda virtù: il senso di “comunità”, Novak individua tre livelli in cui essa si articola: la comunità dei colleghi; quella degli stakeholders; quella dell’interdipendenza globale. In questa prospettiva, l’impegno pubblico e la responsabilità civicaderivano dal fatto che i cittadini, non percependosi come meri sudditi, educati a vari livelli di condivisione, sono portati a promuovere non solo la propria felicità e quella dei propri cari, ma, come si conviene ad un sovrano, si sentono responsabili anche del raggiungimento del bene comune della propria comunità.

La terza ed ultima virtù cardinale dell’imprenditore è il realismo. L’imprenditore dovrà sempre vigilare affinché nessuna percezione possa offuscare il limpido contorno della realtà, e per far ciò avrà bisogno di confrontare continuamente i suoi progetti con quelli di persone che hanno idee diverse dalle sue. Qui entra in gioco il ruolo fondamentale del dirigente, chiamato a comprendere nel modo più nitido possibile i segni della realtà e, di conseguenza, ad indirizzare correttamente l’attività imprenditoriale. Spetta al dirigente prendere le decisioni destinate ad influenzare il futuro dell’impresa, definendo, nello stesso tempo i mezzi che rendono attuabili i progetti.

Nell’ottica delineata da Novak, l’etica degli affari suggerisce la riflessione su temi che vanno ben oltre la mera obbedienza alla legge civile. Una tale visione concepisce la società come un ordinamento poliarchico in cui sono presenti un ordine politico, economico e culturale fondati sulle suddette virtù, nonché sul principio di concorrenza e di libera intrapresa economica, all’interno di un quadro legislativo chiaro e coerente con l’inclinazione dell’uomo a porsi come agente responsabile delle azioni che pone in essere. Questo, afferma il teologo americano, è il contributo più prezioso che la libera impresa, soprattutto quella di piccola e media dimensione, può offrire ai poveri di tutto il mondo, spezzando le catene che li mantengono lontani dalle opportunità che l’economia globale oggi offre. Inoltre, questo è il contributo che, congiuntamente, la scienza economica e l’etica degli affari possono offrire al genere umano, promuovendo una cultura improntata all’iniziativa economica, al senso di comunità e alla responsabilità personale.

Bibliografia

Verso una teologia dell’impresa (1981), Liberilibri, 1997

 L’impresa come vocazione (1996), a cura di F. Felice, Rubbettino, 2000

Il fuoco dell’invenzione (1997), a cura di F. Felice, Effatà, 2005


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