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Tutti insieme appassionatamente contro Matteo Renzi

Pierluigi Bersani, Guglielmo Epifani, Massimo D'Alema e Francesco Boccia

All’assemblea nazionale del Pd ne abbiamo viste di tutti i colori: non solo una minoranza antirenziana dialogante (Gianni Cuperlo, Cesare Damiano), una minoranza antirenziana intransigente (Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza, Enrico Rossi) e una minoranza antirenziana che ha fatto tutte e due le parti in commedia (Michele Emiliano), ma anche un centro della maggioranza renziana che è un po’ antirenziano (Andrea Orlando). Ergo, ci devono essere pure una destra della maggioranza renziana e una sinistra della maggioranza renziana che sono un po’ antirenziane (non tarderanno a manifestarsi).

Il principio aristotelico di non contraddizione è violato, ma la coincidentia oppositorum del neoplatonico Nicola Cusano è salva. Se le cose stanno così, sarebbe magnifico se il prossimo congresso del Pd segnasse il passaggio dalle categorie della filosofia classica al metodo della filosofia analitica (a partire dall’abolizione del metalinguaggio). Con la riscoperta del pragmatismo di John Dewey, inoltre, Renzi potrebbe dare vita a un vero partito liberaldemocratico (auspicabilmente di massa). Berlusconi ci ha provato, e sappiamo come è andata a finire. Provaci ancora Matteo, può darsi che sia la volta buona.

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Massimo D’Alema è impagabile. È vero, aveva promesso di non occuparsi più della politica italiana dopo il referendum, ma non poteva restare insensibile al grido di dolore del popolo di sinistra. Ha quindi sentito il dovere di tornare in campo per unificarlo (in realtà per spaccarlo, e dopo aver accusato un giorno sì e l’altro pure Matteo Renzi di non essersi ritirato a vita privata, come si era impegnato in caso di sconfitta il 4 dicembre scorso). D’Alema è favorevole a una legge elettorale che dia un ragionevole premio di maggioranza alla lista (non alla coalizione) che arriva prima, ma non ci spiega con quali ipotesi di alleanze (a meno che quel premio di maggioranza non sia poi tanto ragionevole). Infatti per lui, che è stato sempre al “centro della sinistra”, Vendola è troppo mancino. Inoltre, pur avendo inciuciato tutta la vita con la Dc, sente nell’asse Alfano-Franceschini-Delrio un insopportabile puzzo di scudocrociato.

Poiché, poi, primum vivere deinde philosophari, il leader maximo registra con soddisfazione una consonanza di posizioni con Bersani, Emiliano, Speranza, Rossi, Cuperlo: tutti insieme appassionatamente per cacciare l’impostore, alias il guascone di Rignano. Non basta. Il M5s non è più una costola della sinistra (come aveva sostenuto fino a ieri), ma una confusa accozzaglia di “persone e culture che rappresentano il malessere del Paese” (lo era anche il movimento fascista delle origini, e questo D’Alema dovrebbe saperlo). Infine (intervista a Stefano Cappellini, la Repubblica, 9 febbraio), non ha ricoperto il ruolo di Alto Rappresentante della politica estera Ue perché i grandi Paesi non vogliono un ex capo di Stato (sic!) in una funzione di quel tipo” (gli antichi greci la chiamavano hybris).

Per concludere, poiché credo che Renzi non voglia fare la fine dei capponi del suo quasi omonimo protagonista dei Promessi sposi, non dovrebbe dispiacergli una scissione che ai più resta incomprensibile se per un contrasto che sembra irriducibile non tanto sul piano dei valori e della cultura politica, ma su quello antropologico.

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Bisognerebbe ricordare a Donald Trump che se i veri americani (i nativi) avessero respinto tutti gli immigrati, il presidente degli Stati Uniti oggi potrebbe chiamarsi Iakota Tatanka Yotanka (Toro Seduto).


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