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Ruffolo: La Trilaterale ha influenzato il pensiero politico ieri e pure oggi

Nell’ultimo libro, scritto con Stefano Sylos Labini, ‘Il film della crisi. La mutazione del capitalismo’, ne parla esplicitamente a proposito dei due shock petroliferi degli anni ’70 “[…] una serie di movimenti d’opinione che cambiarono sostanzialmente le caratteristiche fondamentali del pensiero economico e che si concretizzarono dapprima nella rinascita di un nuovo liberismo economico e poi nel mutamento dell’ideologia politica. In tale ambito ebbe un peso significativo l’influenza esercitata dalle nuove tesi neoautoritarie della cosiddetta “Trilaterale”. Ossia della Commissione Trilaterale, un gruppo di studio non governativo e non partitico fondato il 23 giugno 1973 per iniziativa di David Rockefeller, presidente della Chase Manhattan Bank, e di altri dirigenti e notabili, tra cui Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski. E oggi? “La Trilaterale ha influenzato il pensiero politico in passato e lo influenza pure oggi”. Nel segno inequivocabile di imposizione del ‘pensiero unico’ : il neoliberismo. Giorgio Ruffolo, classe 1926, è un economista di professione, ma prima è un ‘uomo di cultura’ che si sa muovere con altrettanta eleganza e spigliatezza come nell’economia sia nella politica e sia nella saggistica. La cultura, un bene immateriale, l’ha sempre coltivata fondendola ad una visione profonda dell’umanesimo e dell’umano. Ha attraversato la storia della Repubblica e della sinistra italiana: socialista e fiero di esserlo! Senza mai però mischiare il socialismo e i suoi valori di libertà, uguaglianza, giustizia sociale, con il destino del partito socialista nel quale ha militato per tanti anni. Qualche tempo fa si augurava: “magari ci fosse un Keynes che traducesse l’ispirazione ideale (di Carlo Marx) in un buon riformismo liberale e socialdemocratico. Io votei per loro”. E oggi? “Potenzialmente c’e’ il Pd: vorrei pero’ gli assomigliasse di piu’! Beninteso, al riformismo liberale e socialdemocratico”. Ruffolo è stato uno stretto collaboratore di Enrico Mattei all’Eni ed ha avuto in Riccardo Lombardi e Antonio Giolitti, “le figure piu’ importanti della mia vita, due persone eccezionali: colte, preparate, moderne e aperte al nuovo”. Ora pero’ bussa alla porta la grave crisi finanziaria, economica e sociale, la peggiore dal 1929 ad oggi. E qualcuno – Bruno Amoroso – piu’ che di ‘crisi’ parla esplicitamente di ‘truffa finanziaria’, che viene fatta pagare, dalle politiche di austerità, ai lavoratori e ai pensionati erodendo i loro risparmi accumulati nel tempo. “Sono d’accordo, si puo’ chiamare anche truffa finanziaria”, annuisce Ruffolo. Nel suo libro ‘Il film della crisi’, viene messa a fuoco la mutazione del capitalismo, di quel capitalismo che ha “i secoli contati”, smentendo le profezie sulla sua fine che state cosí tante da avergli portato fortuna. Mutazione che è essenzialmente di natura ‘finanziaria’. Come possibile via d’uscita, si propone di ridimensionare ‘il potere’ di questo capitalismo finanziario e promuovere un piú alto grado di eguaglianza. Se oggi ci fossero Paolo Sylos Labini e Federico Caffé, economisti che lei ha frequentato assiduamente che direbbero? “Io seguiterei ad essere sempre d’accordo con loro, qualunque cosa avessero da dire”, taglia corto. Sarebbe insomma d’accordo ‘a prescindere’ con chi – Sylos Labini – nel 2006 rivolse un appello ai suoi concittadini “Ahi, serva Italia!” e aggiungeva: “perché siamo caduti così in basso? Non per orgoglio né per presunzione, ma per ‘disperazione sociale’ mi rivolgo ai miei concittadini per esortarli a fare uno spietato esame critico della coscienza civile evitando ogni formula consolatoria. E’ la premessa per uscire dall’abisso”. E con chi, Caffè, un riformista estremista per il quale l’etica della convinzione coincideva sempre con l’etica della responsabilità, nei lontani anni ’70 chiedeva la sospensione delle attività borsistiche soprattutto nel campo dei titoli azionari e di Stato quando si rivelino manipolatorie a scopo speculative. “Quando Caffè se la prendeva con la Borsa, con la speculazione impazzita, e arrivava fino a proporre la chiusura delle Borse, era poi così utopista? Persino all’Economist, un giornale che con il solidarismo sociale ha tanto poco a che fare da risultare talvolta francamente odioso, è capitato di descrivere la follia della finanziarizzazione: la follia di un mondo alla rovescia nel quale non si finanzia per produrre, ma si produce per speculare. Tra etica della convinzione ed etica della responsabilità c’è, per me, un varco che credo non potrò mai colmare. La lotta per chiudere questo varco era, ed é, l’utopia di Caffè. Utopia: una parola che a Caffè piaceva molto”, ricorda Ruffolo. Caffè, un economista tanto ‘riformista’ da lamentare ‘la solitudine’ del riformista! Anche il Premier Mario Monti dice, dopo ‘salita’ in politica, di essere un riformista. “E questo ci conforta!”, nota con signorilità Ruffolo. Che, al pari di Caffé, ma anche di Labini, Lombardi e Giolitti, ha sempre rifiutato il ruolo del Consigliere del Principe e quindi tutti i vantaggi più o meno effimeri del potere. Il Premier Monti che, come ha documentato la trasmissione ‘Report’ dell’aprile scorso, è stato presidente europeo della Trilaterale, si professa riformista e afferma: oggi ‘destra’ e ‘sinistra’ sono parole superate, obsolete, non hanno piu’ senso. Lo stesso fa Gianfranco Fini. Poi un intellettuale inglese, molto seguito nel Pd, Anthony Giddens, il teorico della ‘terza via’ di Tony Blair, afferma che “a sinistra non c’è più l’utopia socialista”, come nel 2007, con sicumera, decretava la morte del socialismo tra gli applausi di Walter Veltroni e di Fausto Bertinotti. “La disputa ‘destra’ e ‘sinistra’ come concetti superati ed obsoleti, é superata da un bel pezzo! Con l’inesistenza di quella contrapposizione storica, si afferma, implicitamente, un concetto molto caro alla destra”, ribatte Ruffolo. Tanto è vero che – nota – si finisce per dire: ‘non c’e’ piu’ l’utopia socialista’, ossia non c’e’ possibilità alcuna, “per progredire verso una società piu’ prospera e giusta”, che e’ il messaggio del libro, attraverso un nuovo approccio di politica economica che è particolarmente urgente in Europa, “dove gli obiettivi di sviluppo civile devono tornare ad avere la priorità sui risultati finanziari speculativi di breve e di brevissimo periodo”. Una disputa, insomma, che di cultura non ha proprio nulla.


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