Donald Trump non fa marcia indietro sulla sua promessa di rendere l’America “safe again” e firma un nuovo bando agli ingressi da alcune nazioni a maggioranza musulmana. Rispetto all’executive order del 27 gennaio, accolto con un moto di indignazione popolare e alla fine bloccato dalle corti di Seattle e San Francisco, il nuovo provvedimento viene licenziato ricorrendo a numerosi accorgimenti volti a evitare nuovi deragliamenti.
Trump ha anzitutto mandato avanti tre membri di spicco della sua amministrazione – il segretario di Stato Rex Tillerson, il ministro della giustizia Jeff Sessions e il segretario alla sicurezza interna John Kelly – per presentare alla stampa e all’opinione pubblica il nuovo ordine presidenziale. Che riproduce sostanzialmente i contenuti di quello precedente, ma con importanti modifiche volte a prevenire azioni di contrasto legale. I paesi colpiti dal bando da sette sono diventati sei: l’Iraq, solido alleato nella lotta contro lo Stato islamico, viene depennato dalla lista, spuntando così le armi degli oppositori. Pare che dietro la scelta di salvare gli immigrati iracheni ci siano il segretario Tillerson e il suo collega alla difesa Mattis, che nelle scorse settimane hanno rassicurato le autorità irachene e ottenuto la promessa di maggiore accuratezza nei controlli sui propri cittadini che intendono fare ingresso negli Stati Uniti.
Per i sei Paesi rimanenti – Siria, Libia, Iran, Sudan, Yemen e Somalia – viene confermata la chiusura per 90 giorni delle frontiere statunitensi, in vista di una revisione delle procedure di “vetting” al fine di impedire a persone che “non amano il nostro paese” di entrarvi con cattive intenzioni. A differenza del bando precedente, quello emanato ieri entrerà in vigore non immediatamente ma a partire dal 16 marzo, un ritardo volto a permettere alle agenzie federali di fare i dovuti accomodamenti e, soprattutto, a evitare il caos negli aeroporti della volta scorsa. Sempre per evitare l’impressione di avere a che fare con un provvedimento frettoloso, arbitrario e discriminatorio, il nuovo ordine non riguarderà persone già in possesso di carta verde o di regolare visto.
Si conferma invece la stretta sui profughi, anche se estesa a tutte le nazionalità e non ai soli cittadini siriani – altro accorgimento mirato a prevenire nuove battaglie legali. Viene meno, inoltre, l’eccezione per i membri delle minoranze religiose, originariamente concepita per aprire una via preferenziale ai cristiani perseguitati del Medio Oriente – altra misura cautelativa che renderà difficile, per gli avversari di Trump, sfidare la costituzionalità dell’ordine presidenziale. Insomma, l’amministrazione Trump ha lavorato a fondo per prevenire le azioni di contrasto.
Anche se vi è già chi parla di un “muslim ban” 2.0 da sfidare immediatamente nelle corti, stavolta la battaglia sarà più impervia per gli oppositori di The Donald e della sua agenda securitaria.