Pensiamo sia utile unirci al gioco di società nazional-popolare e commentare l’editoriale di ieri sul Financial Times di Wolfgang Münchau. Così, per non sapere che altro fare.
Intanto il titolo, che come noto a (quasi) tutti, non è frutto dell’inventiva dell’autore bensì della redazione, e come tale a volte può essere distorto e distorsivo del pensiero altrui: “Monti non è l’uomo giusto per guidare l’Italia“. Che, scritta così, fa un certo effetto. Partendo dalla miseranda condizione della nostra economia, la prima valutazione è effettivamente molto stile-Münchau: “Ancora una volta, un governo europeo ha sbagliato a valutare il prevedibile impatto dell’austerità”. Parole sante, anche se resta da capire quali e quanti gradi di libertà rispetto al Berlin Consensus avesse realmente Mario Monti, al momento del suo ingresso a Palazzo Chigi. Ma questo è un punto effettivamente da tenere presente, soprattutto a futura memoria.
Münchau esprime una evidente (e razionale) preferenza per un aggiustamento simmetrico e condiviso tra Paesi in deficit e paesi Prosperi. Queste sono considerazioni astratte di buonsenso, ma si scontrano con una realtà fatta di nein tedeschi e di moralismi di qualche replicante italiano, quindi la via è preclusa. Münchau esplicita la propria accusa a Monti: “Non si è opposto ad Angela Merkel”. Ci sono tuttavia le attenuanti generiche a favore di Monti: l’azione in emergenza, con la priorità di rientrare rapidamente da deficit e debito, a causa dell’impegno preso da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti di pareggiare il bilancio pubblico già nel 2013. A tutto ciò si è sommata la fuga di investitori internazionali, timorosi che i tedeschi volessero realmente attuare qualche espulsione dall’euro, ed il danno è stato fatto. Perché nessuno si salva da solo, in Eurozona. Anche di questo sappiamo, quindi passiamo oltre.
Siamo tendenzialmente d’accordo con Münchau sulla “insignificanza macroeconomica” di gran parte delle riforme della fantomatica “Agenda Monti” (da oggi in revisione per opera del suo stesso autore), ma non dimentichiamo che siamo e restiamo in una democrazia, checché ne pensi e auspichi l’onirico caudillo di Arcore, al quale doveva essere concesso un salvacondotto tombale e costituzionalizzato per levarsi di torno e permettere al paese di tentare di diventare adulto, ma così non è andata, pazienza.
Altra cosa che è sfuggita alla politica italiana, oltre che a gran parte dei suoi economisti professionisti e mainstream, è il fatto che l’austerità ci avrebbe uccisi tutti in breve tempo. Ad oggi, ci restano molti grilli parlanti che ripetono ossessivamente che, se avessimo tagliato la spesa, ora saremmo ricchi e felici. Le cose non stanno esattamente in questi termini, ma anche di questo sappiamo. Il milione di dipendenti pubblici lo cacceremo al prossimo giro comunque, tranquilli. Nel frattempo tenete ben presente che, quando Münchau cita lo sciagurato Cancelliere deflazionista Heinrich Brüning, parla a Monti perché Merkel intenda.
Münchau parla del programma di Pierluigi Bersani, che è ormai abbastanza definito: rimodulazione dell’Imu in senso progressivo, congiunto all’illusorio convincimento di riuscire ad andare dai tedeschi a chiedere di togliere dal calcolo del rapporto deficit-Pil gli investimenti pubblici, di qualsiasi cosa si tratti. E qui urge che Bersani si risvegli rapidamente, magari tirando giù dal letto anche l’icona della ritardata sinistra italiana, quel François Hollande ben avviato a diventare il commissario liquidatore del declino francese. Ma riuscirà Bersani a resistere ai programmi elettorali di Vendola e della Cgil?
Il vero problema della lettura del pezzo di Münchau, in questo ridicolo paese, è che avremo (abbiamo) tutti i nostri corifei pronti a stracciarsi le vesti a colpi di “te l’avevo detto, io”, quando la realtà dipinta dal tedesco anti-tedesco è ben più complessa, oltre che articolata su più piani gerarchici. Intanto, l’errore marchiano della religione della austerità, sotto il tallone tedesco. E a questo, nessun leader europeo è riuscito sinora ad opporsi.
Quindi leggiamo pure Münchau, con il nostro occhietto provinciale e la nostra genetica tendenza all’ipse dixit di scuola cattocomunista, scateniamoci negli abituali riflessi che già Dante aveva identificato nel tratteggiare l’Italia cortigiana da bordello. Ma non dimentichiamo che Münchau voleva dire ben altro, nel suo editoriale (che peraltro è “solo” un editoriale, quindi leggere cose del tipo “Il Ft boccia Monti” fa cadere braccia ed altre parti anatomiche): e cioè la grande ed terna eterna di questa espressione geografica peninsulare, sotto costante schiaffo di un vincolo esterno per incapacità a progettare il proprio futuro senza subirlo: e cioè che non è tanto Monti (o Bersani, o Berlusconi) ad essere unfit a guidare l’Italia. Né il problema deriva dalla legge elettorale, dove quella dei vicini è sempre più verde; e nemmeno da eventuali stalli post-voto.
Il problema, vero ed unico, è che sono gli italiani ad essere unfit a guidare l’Italia: nell’esprimere una classe dirigente che riesca almeno a non causare sciagure per dolo e colpa grave. Ed auspicare che un rovesciamento di prospettiva si manifesti, non è per oggi né per domani, se mai accadrà. Posta in questi termini, quindi, l’analisi di Münchau è molto più disperante del reality elettorale di una legislatura che ancora deve nascere e che è già prossima all’aborto spontaneo. Attendendo il prossimo vincolo esterno su cui rovesciare inchiostro, chiacchiere, recriminazioni ed autoassoluzioni.
(sintesi di un’analisi più articolata che si può leggere sul blog Phastidio.net)