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La nuova guerra fredda tra Paesi ricchi e Paesi poveri

Bisogna avere il coraggio di capire che il mondo è cambiato in modo drammatico da alcuni anni a questa parte e mettere un riparo prima che sia troppo tardi. Bisogna capire che la crisi dei Paesi Ricchi è fortemente condizionata da alcuni fenomeni concomitanti:
– uno è dovuto alla minore crescita dei “mercati ricchi” che hanno raggiunta una quasi saturazione sia di immobili (specie di quelli destinati ad ufficio), che di auto e di elettrodomestici e altri prodotti durevoli;
– un altro è dovuto all’apparire sul mercato di concorrenti molto aggressivi ai quali molti marchi affidano le proprie produzioni, abbandonando i “Paesi ricchi” e con ciò stesso aggravando la crisi.

La crisi che sarà prodotta da queste novità esplose con molta maggiore evidenza dopo la fine della “guerra fredda”, porterà presto alla crisi del benessere al quale si erano abituati i “Paesi ricchi”.

Cosa è successo negli ultimi anni? Per anni (nel secolo scorso) il mondo si divideva tra:
1) Paesi “ricchi” (America del nord in testa, poi i Paesi dell’Europa occidentale) ai quali si è aggiunto un Giappone che ha per anni prodotto a bassi costi, ma poi si è allineato; tra i Paesi “ricchi” vanno anche inseriti gli emirati arabi non forti industrialmente ma ricchi di materie prime (soprattutto petrolio);

2) Paesi “semiricchi”, soprattutto l’America Latina, il Canada, l’Australia;
3) i Paesi “dittatoriali”, con a capo la Russia (e i satelliti comunisti).

La Russia era una grande potenza militare, ricca di materie prime, con un sistema socialista che mortificava ogni possibilità di crescita;

4) i Paesi “poveri” (Cina e India in modo particolare).

Due miliardi e mezzo di popolazione con livelli di povertà spaventosa e con prezzi di produzione bassissimi ma con alcune valide scuole capaci di creare ottimi tecnici. Quasi tutti a servizio dei loro eserciti.

Alla fine del 1900 crolla l’impero sovietico e si aprono le porte ad un commercio mondiale che cerca solo la possibilità avere prodotti a basso costo. Ma qui entrano in competizione le buone capacità tecnologiche che supportano produzioni a bassissimo costo rispetto a quelle dei paesi ricchi.

5) Così i Paesi poveri hanno potuto invadere i Paesi ricchi di prodotti a basso costo e il rapporto di clearing non avviene sulla base di reciproco acquisto di prodotti, ma sulla base dello scambio paritario non di merci ma di denaro;

6) avviene così che i Paesi poveri mantengano un rapporto di clearing in equilibrio non con un equilibrato scambio di prodotti ma con l’acquisto di beni patrimoniali (spesso catene commerciali attraverso le quali vendere loro prodotti e prodotti reddituali – e titoli del debito pubblico – che danno un subdolo potere di condizionamento verso le nazioni emittenti).

Noi quindi accresciamo la forza produttiva dei paesi con produzioni a basso costo e indeboliamo la nostra capacità produttiva. E sono state mandate, in Italia, grida di allarme sul fatto che i cinesi cominciano ad acquistare (a basso prezzo data la crisi) aziende di alto valore nel “Made in Italy” per affermarsi in quel mercato.

Col rischio che delocalizzino o copino a basso costo in Cina produzioni di eccellenza. E siamo pieni di prodotti clonati (tipo le borse Prada) venduti da neri che scappano quando vedono la polizia.

7) I Paesi ricchi dovrebbero usare il loro (ancora) immenso potere di acquisto per imporre ai Paesi poveri di attuare una politica meno aggressiva sul piano commerciale. Non impedire il libero commercio, ma misure protettive delle produzioni proprie.



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