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Come sanare il deficit di democrazia in Europa

Di Richard Bellamy
L'agenda guerra

Le analisi sulla legittimità democratica dell’Ue si concentrano tipicamente sulle deficienze democratiche del processo decisionale portato avanti da burocrati, politici e lobbisti. Per i destinatari delle azioni di questi soggetti, essi mancano di un’adeguata autorizzazione o responsabilità. Anche i politici nazionali sono sospettati di operare per gli affari europei senza alcun mandato elettorale interno o, laddove questo esista, di agire spesso contro di esso. In generale, le proposte per affrontare il presunto deficit si sono tradotte nella valorizzazione e nel potenziamento dei poteri del Parlamento europeo e nell’elezione della Commissione, sia essa effettuata diretta o indirettamente, e sempre collegate alla necessità di una maggiore integrazione politica. Non sorprende che le principali controargomentazioni rispecchino questi ragionamenti e provengano da coloro che si oppongono alla giustificazione del processo di integrazione a livello democratico. Le critiche riguardano il passaggio dell’autorità politica dalle strutture nazionali a quelle europee, nella migliore delle ipotesi diluendo l’influenza democratica del voto individuale o, nello scenario peggiore, indebolendo l’autodeterminazione dei popoli sovrani. Ciò suggerisce che l’Ue non potrà mai essere legittimata democraticamente. L’ulteriore potenziamento del Parlamento o l’elezione della Commissione, infatti, potrebbero approfondire il deficit democratico. Come indica lo slogan della Brexit “Riprendere il controllo”, queste critiche risuonano con – e in parte motivano – i sentimenti anti-Ue.

Un approccio alternativo per gestire questa situazione di stallo potrebbe configurarsi nel rafforzamento della legittimazione dei sistemi democratici degli Stati membri, piuttosto che nella creazione di un’alternativa a essi. Molte delle decisioni democratiche interne influenzano – e sono allo stesso tempo influenzate da – decisioni prese dagli altri Stati, siano o meno formalmente associate all’interno di una struttura come l’Ue. Nella misura in cui le decisioni di un Paese minino quelle di un altro, o riducano le opzioni accessibili a quest’ultimo, se ne deduce che tutti i Paesi sono a rischio di perdere la propria legittimazione democratica. Nel frattempo, la democrazia interna è ulteriormente diminuita dall’incapacità di affrontare problemi che richiedono la cooperazione tra Stati, sia perché per natura globali – come ad esempio il riscaldamento del pianeta – sia perché coinvolgono attività transnazionali e processi tra organizzazioni multinazionali, siano essi movimenti finanziari, flussi migratori o terrorismo. Pertanto, un deficit democratico interno esiste essenzialmente per il fatto stesso che gli Stati democratici appartengono a un mondo interconnesso in cui l’autarchia non offre più un’opzione plausibile o desiderabile.

Affrontare queste sfide richiede qualche forma di regolamentazione dell’interazione tra Stati e un meccanismo per rafforzare la loro cooperazione. Gli organismi sovranazionali sono sembrati adatti a questi scopi. Ma, senza una legittimazione democratica, questi soggetti rischiano di approfondire il deficit democratico, diventando essi stessi fonte di ingiustificate interferenze o inibizioni relative ai processi decisionali interni. Eppure, come indica forse l’Ue, democratizzare tali organismi sovranazionali e renderli direttamente e democraticamente responsabili per gli individui sottoposti alle loro decisioni, non necessariamente aiuta ad affrontare il problema. L’approccio alternativo subentra qui. Abbiamo bisogno di riconsiderare l’obiettivo di queste entità sovranazionali. Invece di vederle come fonte superiore e indipendente di autorità democratica, dovremmo concepirle come meccanismi che permettono alle comunità democratiche di coesistere in termini accordati mutuamente e in modo equo. Gli organismi sovranazionali devono rimanere subordinati ai loro membri costituenti in quanto autorità delegate e sotto il loro controllo congiunto e paritario. Il problema della legittimazione democratica, quindi, passa dall’essere legato al deficit democratico a livello sovranazionale a quello di uno scollamento democratico tra i popoli degli Stati costituenti e le decisioni internazionali e multinazionali che i propri rappresentanti fanno a loro nome.

Questa proposta costituisce una soluzione demoi-cratic alla questione della legittimazione democratica, da cui l’espressione di Kalypso Nicolaidis, i popoli dell’Ue “governano insieme ma non come una cosa sola”. Si può sostenere che essi raggiungano questo risultato attraverso una forma di “intergovernamentalismo repubblicano”, per cui i ministri del Consiglio rispondano ai rispettivi parlamenti nazionali e i partiti del Parlamento europeo siano in un certo senso più credibilmente legati ai loro partiti nazionali, con i parlamenti interni che guadagnino un ruolo più diretto e collaborativo nei processi decisionali dell’Ue, non più come guardiani della proporzionalità e sussidiarietà (attraverso i cartellini gialli e rossi), ma proponendo politiche all’Ue (attraverso un cartellino verde). Contro gli euroscettici attuali, questa proposta insiste sul fatto che possiamo esercitare un controllo solo attraverso organismi come l’Ue; contro gli eurofili proponenti un’unione politica si afferma che sia possibile raggiungere un controllo attraverso la collaborazione tra democrazie europee, e non creando un livello europeo di democrazia. Entrambe le alternative comportano la perdita di controllo.

Traduzione di Valeria Serpentini


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