Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.
Da Redditest è diventato un Redditometro. Cosa sia successo tra il 2010 e lo scorso fine anno non è dato sapere con precisione. In una materia, quella fiscale, nella quale soltanto la legge e il Parlamento possono stabilire cosa e come far pagare i cittadini, il Redditometro è rimasto orfano di una maggioranza politica.
Nessuno, a quanto si legge dai media, lo ha voluto, non Silvio Berlusconi, tantomeno Mario Monti e men che meno Pier Luigi Bersani. Ennesima riprova della improvvisazione complessiva con la quale l’Italia affronta le sfide dell’eurozona e della globalizzazione. Fatto sta che il Redditest, diventato Redditometro, contribuisce non poco, soprattutto apparendo sulla scena in piena campagna elettorale, ad alimentare il populismo fiscale che da troppo tempo viene sparso ai quattro venti della vita collettiva.
Tutti i mali italici, secondo tale vulgata, sarebbero risolti dall’eliminazione dell’evasione fiscale che, da sola e miracolosamente, farebbe ricrescere la produttività, aumentare la competitività dell’offerta e migliorare la qualità dei servizi prodotti e resi dalla pubblica amministrazione. E in molti a predicare che, con la base imponibile sottratta a tassazione e stimata tra il 18 e il 21% del pil italiano, nessuna locomotiva tedesca metterebbe più soggezione.
Facile, troppo facile demagogia fiscale che scorda quanto, da più di un decennio, è stato fatto sul fronte del recupero della base imponibile evasa. Le statistiche degli studi di settore, introdotti nel 2001, sono lì a ricordare al populismo fiscale che l’Italia non è una bella addormentata nel bosco dell’evasione fiscale. Per gli autonomi e le piccole imprese lo spartito tributario è molto cambiato nell’ultimo decennio.
Qualche dato. La vendita dei mobili, ad esempio, oggi evidenzia una evasione potenziale, come differenza tra i dati Istat e le dichiarazioni fiscali, del 6%, mentre era al 40% alla fine dello scorso secolo. O come nel caso dei negozi di alimentari passati da un’evasione stimata superiore al 40 al 16% del 2010. La lotta all’evasione non è una foresta pietrificata, ma non può essere neppure un pozzo di San Patrizio in grado di coprire ogni dimensione di spesa pubblica corrente. Quella che in Italia è sempre cresciuta con ogni governo e che oggi vale il 4% di pil in più della spesa tedesca. È questo livello di spesa pubblica il nemico pubblico numero uno del futuro italiano.
Twitter@EdoNarduzzi