Niente da fare. La due giorni a Baden Baden dei ministri delle Finanze e dei governatori degli Stati membri del G-20 non ha portato al risultato sperato. Gli Usa, nella persona del ministro delle Finanze Steve Mnuchin, si sono opposti a un documento conclusivo che contenesse nero su bianco una presa di posizione inequivocabile a favore del libero mercato e un altrettanto inequivocabile rifiuto di qualsivoglia protezionismo. E così il documento conclusivo riportava giusto questa assai generica dichiarazione d’intenti: “Lavoriamo a un rafforzamento del commercio nelle nostre economie nazionali”.
Una battuta d’arresto non promette certo per i prossimi mesi “business as usual”. Ma nonostante il risultato tutt’altro che edificante, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha voluto commentare la due giorni di consultazioni, in previsione del G-20 ad Amburgo in luglio, in modo positivo. A suo avviso i rapporti tra paesi emergenti e paesi industriali si sono comunque rafforzati. Per quanto non siano stati presi accordi “che possano contribuire concretamente nel prossimo futuro a sviluppare il commercio mondiale”, si sono potute comunque registrare posizioni simili o uguali, per esempio per quel che riguarda “la manipolazione delle valute, che ci si impegna a evitare” così come si eviterà “qualsiasi tipo di concorrenza sleale” ha voluto sottolineare Schäuble, concludendo, infine, così: “Siamo tutti consapevoli che il commercio mondiale sia un fattore di crescita dell’economia globale così come di crescita delle singole economie nazionali”.
Una posizione particolarmente accomodante che contrasta con l’indole piuttosto battagliera che contraddistingue normalmente Schäuble. Il fatto è che la Germania tiene quest’anno la presidenza di turno del G-20, a Schäuble è toccato dunque innanzitutto il ruolo di moderatore tra gli altri partecipanti. E poi, visti gli annunci e le intenzioni del nuovo inquilino della Casa Bianca Donald Trump, deve essersi detto, meglio andare con i piedi di piombo o come ha constatato diplomaticamente a Baden Baden: “Ci sono giorni nei quali non resta che limitarsi a constatazioni di fatto: per esempio che non si può e non si deve chiedere troppo ai propri partner”.
Un approccio condiviso anche a Washington, dove venerdì Angela Merkel ha incontrato per la prima volta Donald Trump. Ovviamente c’era grande attesa per capire se “la chimica tra i due funziona” come scrivevano i media tedeschi. A dire il vero, i temi in agenda erano molto più importanti: la questione dei profughi, il libero commercio, l’impegno nella Nato e via dicendo, eppure la domanda veramente importante era un altra. Appunto se possa essere un terreno comune sul quale Merkel e Trump potranno incontrarsi e intendersi in futuro. Questo spiega come mai la mancata stretta di mano, o meglio, il rifiuto di Trump di stringere nuovamente quella di Merkel dopo il loro incontro a quattrocchi, per le foto di rito, abbia catalizzato l’attenzione dei cronisti. Il clima tra i due pare essere stato in quel momento particolarmente gelido. Oppure i due si stavano semplicemente ancora studiano. Infondo, sottolineavano i media tedeschi, anche a Merkel nell’anno delle elezioni politiche non conviene mostrare troppo sintonia con il nuovo inquilino della Casa Bianca. Secondo recenti sondaggi, giusto il 4 per cento dei tedeschi interrogati, avrebbe votato Trump.
Al momento della conferenza stampa Merkel e Trump davano però già l’idea di aver nel frattempo abbassato la guardia. Trump si è mostrato particolarmente entusiasta del modello tedesco “duale” di apprendistato, cioè teoria e pratica che vanno di pari passo. A mettere di buon umore Trump deve essere stata inoltre la delegazione che accompagnava Angela Merkel, composta da pesi massimi come Joe Kaeser, amministratore delegato di Siemens, Harald Krüger ceo di BMW, Werner Baumann della Bayer Ag. Ciò nonostante in conferenza stampa Trump ha voluto ribadire che gli Usa sono stati in passato “raggirati, trattati in modo scorretto” sul piano commerciale. Ed è sua ferma intenzione fare in modo che ciò non accada più.
Preparati a questo tipo di confronto, “i grandi boss” scriveva il quotidiano economico Handelsblatt il giorno della visita di Merkel, “non negheranno certo il surplus commerciale e il peso delle esportazioni tedesche negli Usa”. Esportazioni che raggiungono annualmente i 100 miliardi di euro. Ma dopo essersi cosparsi il capo di cenere, aver assicurato di operare in futuro per un riequilibrio, i boss certo avranno fatto notare a Trump, che non è però solo una partita a perdere per gli Usa: ben 4000 imprese tedesche hanno filiali e consociate negli Stati Uniti e complessivamente danno da lavorare a quasi 800mila americani.
Dati questi che non vogliono solo mettere i puntini sulle i, ma essere probabilmente anche un messaggio, nemmeno tanto criptato per l’amministrazione Trump. Se veramente gli Usa dovessero introdurre dazi di importazione per le merci provenienti da paesi verso i quali l’America accusa un deficit, tra questi Cina e Germania appunto, i tedeschi, pur colpiti duramente (un dazio del 20 per cento, vorrebbe dire in un anno una “penale” pari a 20 miliardi di euro) non si limiterebbero a subire.
Merkel dal canto suo si è detta onorata che Trump abbia assicurato la propria presenta al G-20 che si terrà in luglio ad Amburgo. E dopo aver assicurato che il rispetto delle regole nel commercio mondiale è nell’interesse di tutti, ha voluto però dare anche una lezione di politica estera a Trump. Sul finire della conferenza stampa gli ha fatto notare che la ratifica degli accordi commerciali internazionali non è compito di Berlino ma – essendo la Germania membro dell’UE – di Bruxelles. Tornando alla domanda iniziale, se la chimica tra Merkel e Trump funziona, la Kanzlerin ha risposto indirettamente, constatando, prima di accomiatarsi dai giornalisti: “Il nostro compito è quello di arrivare a compromessi, per questo siamo stati eletti”.