Nonostante il recente e violento rerating e la sovraperformance rispetto all’Eurostoxx bancario (+4%), le banche italiane sono state più deboli di quelle europee da inizio anno. Un buon inizio di anno supportato da stabilità politica e dall’intervento pubblico per sistemare le questioni delle banche in difficoltà non è bastato a colmare il gap.
IL FOCUS
Le ragioni di questa tendenza le delinea in un recente report Credit Suisse: la marcia indietro di Intesa Sanpaolo sul deal con Assicurazioni Generali che ha indebolito la performance del titolo e dell’intero settore; la questione persistente della qualità degli asset; la flebile crescita del PIL domestico nel contesto europeo e un debito pubblico sopra la media.
I CONFRONTI
Ovviamente se lo sguardo si sposta sulle performance a un anno, la situazione delle singole banche italiane in Borsa è tutt’altro che brillante: da marzo a luglio 2016 l’andamento della maggior parte dei principali istituti di credito italiani era simile sia a quello dello Stoxx 600 bancario sia a quello dell’Eurostoxx settoriale, fatta eccezione per Bpm che viaggiava ben sotto i due indici. Dal luglio 2016, in ogni caso, la situazione è diventata più delicata anche Unicredit, Bper, Intesa, Ubi per non dire Mps che è crollata a picco per mai più risalire. Mentre entrambi gli indici europei a fine ottobre 2016 erano sulla parità, la maggior parte delle banche italiane citate viaggiava tra il -40% e il -60%; sopra il -20% solo Intesa e Bper, che in effetti sono le uniche, insieme a Ubi che si è aggiunta un po’ più avanti, ad aver sperimentato un rally che le ha portate sopra lo zero fino appunto a fine febbraio.
IL REPORT
“Tra le banche europee, l’Italia ha sofferto la più feroce revisione degli utili dopo la pubblicazione dei conti dell’ultimo trimestre 2016 – scrivono gli analisti di Credit Suisse – Le regioni che hanno mantenuto il momentum degli eps post risultati sono Benelux, con un upgrade del 3% sulle stime di utile a 12 mesi; Spagna (+2%); mentre la Francia è stata piatta, Uk ha guadagnato un 0,2% e l’Italia ha perso il 6%”.
DOSSIER ITALIA
Adesso però i titoli bancari italiani trattano in linea con i peers europei: “Le valutazioni sono aumentate da 0,57 volte il prezzo sul book value delle stime 2017 a 0,64. Lo sconto di prezzo su book value si è stretto a -28% dal -35% di gennaio, mentre il gap di RoTe si è allargato dal 24% al 29%. Insomma, la valutazione implicita ora è in linea con quella dei peers europei (mostra un piccolo premio dell’1% sulle banche dell’Eurostoxx rispetto al -11% di gennaio)”. Il minimo di valutazione l’Italia lo aveva toccato a novembre (-17%) in fase pre referendum, un minimo da cui siamo lontani, essendo però lontani anche “dal premio relativo a cui le banche trattavano nel 2015, oltre il 20% di premio provocato dalle aspettative di consolidamento”.
LE RICHIESTE IN ARRIVO
La buona notizia è che la formazione di NPL si è fermata e il settore ha toccato un punto di flessione negli ultimi trimestri. “Tuttavia – scrivono gli analisti della banca svizzera – ogni potenziale carenza di capitale causata da politiche severe della Bcc sugli NPL, può essere ora sistemata dai 20 miliardi di fondo di salvataggio pubblico, evitando il rischio sistemico di bail-out pagati dall’industria”. Mentre oggi i maggiori rischi per la valutazione arrivano dallo stock ancora imponente di sofferenze e dalla pulizia potenziale che la Bce potrebbe richiedere a fine marzo quando le banche italiane dovranno sottoporre il loro piano di dimissione degli NPL. “Non possiamo escludere che la banca centrale eserciti ulteriore pressione sulle banche italiane per ridurre il gap tra net book value e valore di mercato, costringendole ad aumentare il livello di copertura fino a quello corrispondente al valore della vendita delle sofferenze”. Il rerating futuro delle nostre banche dipenderà da questi fattori e da quanto le banche saranno capaci di evitare prezzi di vendita stracciati per le loro sofferenze.