Primo: “Avviare una rinegoziazione di tutte le regole e tutti i trattati europei, nessuno escluso”. Secondo: “Stabilire che le regole europee naturalmente valgano, ma possano essere messe in discussione da una decisione del Parlamento nazionale, a determinate condizioni”. Terzo: “No a un Ministro delle Finanze unico europeo”. Quarto: “Maggiore sussidiarietà”. Sono le 4 priorità per il futuro dell’Europa secondo Direzione Italia, il movimento fondato da Raffaele Fitto e Daniele Capezzone. Le priorità sono indicate in un position paper presentato presentato oggi.
Ecco una sintesi del position paper di Direzione Italia:
IL SONDAGGIO
Partiamo da un recente sondaggio Index. Il 74,3% degli italiani è insoddisfatto del funzionamento di questa Unione Europea (i soddisfatti sono appena il 16,4%). E il 60,3% sarebbe favorevole all’ipotesi di riscrivere regole e trattati europei (i contrari sarebbero solo il 17,3%).
LA SITUAZIONE E LA NUOVA DIREZIONE NECESSARIA
La fotografia dell’attuale Ue è quella di un sistema non democratico, non efficiente, non trasparente, costoso, capace essenzialmente di generare sfiducia. In pochi decenni, la linea PPE-PSE ha ferito la speranza europea nella mente e nel cuore di una larga maggioranza dei cittadini.
Già nei lunghi mesi della rinegoziazione inglese, prima del referendum del 23 giugno 2016, l’Ue e la stessa Italia hanno mancato l’occasione di sostenere il processo di cambiamento auspicato da Londra: se l’Ue avesse cambiato le sue regole in modo visibile e convincente, gli inglesi non sarebbero stati gli unici a giovarsene, ma ne avrebbero tratto giovamento tutti i Paesi oggi penalizzati dall’asse Berlino-Parigi-Bruxelles, a cominciare da noi.
Se in tutta Europa avanza un’ondata di rigetto, occorre farsi qualche domanda sulle ragioni di questo fenomeno. Colpevolizzare gli elettori non è mai saggio. Piuttosto, è necessario interrogarsi sull’inefficienza dell’Unione che si continua a celebrare.
L’attuale Ue ha mostrato di non saper fronteggiare né emergenze di media gravità (il caso della Grecia), né emergenze di massima gravità (il caso immigrazione), né l’ordinaria sfida dell’uscita dalla crisi economica e del ritorno a una crescita sostenuta e forte.
L’Europa ha bisogno di un nuovo approccio. Non si può reagire a questa crisi con la consueta giaculatoria “ci vuole più Europa”: è esattamente ciò che non ha funzionato in questi anni.
Così come non ha funzionato la pretesa di imporre a tutti (dalla Finlandia al Portogallo) le stesse regole, in una logica di omogeneità forzata.
In alcuni casi (si pensi all’Inghilterra) c’è stata la saggezza di offrire al dissenso dei cittadini uno sbocco creativo e costruttivo. Naturalmente, l’Inghilterra disponeva e dispone di condizioni peculiari (economia forte, moneta solida, ruolo geopolitico autonomo e autorevole), e inoltre ha potuto far ricorso allo strumento referendario, di fatto impraticabile in Italia. Altrove, in Europa continentale, prevalgono invece risposte più di rottura, meno orientate a una pars construens.
L’unica soluzione è dunque invertire la rotta, immaginando un’Europa che faccia meno cose e le faccia meglio.
Quindi:
- più competizione fiscale tra Stati, affinché i sistemi a tasse e spesa bassa siano da modello per gli altri;
- maggiore autonomia e più sussidiarietà, con decisioni prese dal livello più vicino ai cittadini, non dal più lontano;
- ridurre la pressione fiscale e burocratica.
In particolare rispetto al tema dell’euro, occorre evitare scorciatoie e avventure. Non è vero che gli italiani non abbiano nulla da perdere. Un popolo di proprietari di case e di risparmiatori avrebbe tantissimo da perdere in caso di uscita caotica o di mosse avventate, che sarebbero punite molto duramente dai mercati. E quanto al debito, non si può improvvisare, né il problema si risolve evocando confuse prospettive di doppia moneta. Serve a poco indicare rinascite o “palingenesi” future, se nell’immediato dovessero comportare danni devastanti ai risparmiatori italiani.
LE PROPOSTE
- Avviare una rinegoziazione di tutte le regole e tutti i trattati europei, nessuno escluso.
- Stabilire che le regole europee naturalmente valgano, ma possano essere messe in discussione da una decisione del Parlamento nazionale, a determinate condizioni. Quindi, stabilire l’opportunità per i Parlamenti (o eventualmente per la Corte Costituzionale, come accade in Germania) di respingere ciò che arriva da Bruxelles. L’Ue deve essere flessibile: ogni membro deve poter aderire o no ai vari progetti, a seconda del fatto che li condivida oppure no.
- No ad altre cessioni di sovranità economica e fiscale. Sarebbe la gabbia finale: un pilota automatico a Bruxelles-Berlino imposto anche qui. No in particolare a un Ministro delle Finanze unico europeo.
- Maggiore sussidiarietà: le decisioni politiche e normative devono essere adottate al livello più adatto per il raggiungimento degli obiettivi, e quindi il più possibile vicino ai cittadini.