L’Agenda presentata ieri da Confindustria è buona ma non eccezionale. Contiene infatti
“molte proposte interessanti e condivisibili, ma pecca di scarsa fantasia e anzi, per certi versi, si configura come un ritorno al passato”. E’ il giudizio di Carlo Stagnaro, uno dei promotori del movimento turbo liberista Fermare il Declino che candida come premier l’intellettuale Oscar Giannino.
Su un articolo pubblicato su Chicago-blog.it, Stagnaro osserva che “una delle innovazioni più significative della Confindustria recente (con Giorgio Squinzi ma anche con Emma Marcegaglia) era lo spostamento dell’enfasi retorica dalla richiesta di sussidi a quella di sgravi fiscali generalizzati. L’idea di fondo pareva essere darwiniana: diamo alle imprese un campo da gioco praticabile, e lasciamo che vincano le migliori. Invece qui (nella nuova agenda presentata da Squinzi, ndr), si ritrovano molte, troppe invocazioni di deduzioni, detrazioni e crediti d’imposta specifici e più in generale il compito di indirizzare investimenti (e profitti) viene affidato allo Stato.
Questo documento che pure muove da un’analisi corretta e offre non di rado soluzioni coerenti sembra tuttavia segnare la fuga delle imprese italiane dalla foresta e il richiamo della cattività”. “Se è così, non è un buon segnale, al di là del contributo positivo che emerge dallo sforzo propositivo di Viale dell’Astronomia”, scrive Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni.
La “terapia d’urto” suggerita dagli industriali consentirebbe la mobilitazione di 316 miliardi di euro in cinque anni. In questo modo, ha assicurato Squinzi, “il tasso di crescita si innalzerà al 3%; il Pil aumenterà in cinque anni di 156 miliardi di euro (al netto dell’inflazione), +2.617 euro per abitante; l’occupazione si espanderà di 1,8 milioni di unità, il tasso di occupazione salirà al 60,6% nel 2018 dal 56,4% del 2013 (+4%) e il tasso di disoccupazione scenderà all’8,4% dal 12,3% atteso per il 2014″.
Il gianniniano Stagnaro, oltre a criticare “la valenza generale” delle proposte, non trovano convincente la sezione relativa al rilancio degli investimenti, incentrato su una serie di sussidi espliciti o impliciti che vengono invocati, sotto forma di crediti d’imposta o sgravi fiscali di vario genere. “Gli unici due interessanti casi di eccezioni fiscali sono il credito d’imposta sugli investimenti in ricerca e sviluppo e l’esclusione dall’Imu per i fabbricati invenduti”, osserva Stagnaro. Altrettanto scetticismo genera la proposta di moltiplicazione degli investimenti pubblici e, in particolare, il credito d’imposta per gli investimenti in partenariato pubblico-privato, che è pesantemente distorsivo in quanto spiazza gli investimenti puramente privati in infrastrutture.
Anche le misure energetiche lasciano perplessi perché “non è chiaro quali oneri vadano tagliati” per raggiungere l’obiettivo della riduzione del 30% delle componenti para-fiscali della bolletta per le imprese.
Infine, la parte forse più preoccupante è rappresentata dall’enorme costo di tutto il piano e la parte – non indifferente – relativa alla tassazione. “Confindustria stima in circa 19 miliardi di euro nel 2014 destinati a crescere a 54 miliardi nel 2018. Da dove arriva la copertura finanziaria?”, si chiede Stagnaro. “Confindustria immagina un mix di minori spese (riduzione dell’1% annuo della spesa al netto di interessi, prestazioni sociali e acquisti di beni e servizi; estensione del sistema acquisti Consip e sua ristrutturazione; riduzione incentivi alle imprese) e maggiori entrate (armonizzazione aliquote Iva; aumento imposta sostitutiva; armonizzazione oneri sociali). La quadra sta nei proventi da lotta all’evasione, quantificati in 1,5 miliardi di euro nel 2014 (realistico) e 7,5 miliardi nel 2018 (meno realistico), e agli effetti della maggior crescita economica (7,4 miliardi nel 2018). Al netto dei proventi da maggior crescita, la manovra di Confindustria si gioca quindi per il 55% dal lato delle minori spese nel primo anno di applicazione, e diventa via via più restrittiva col tempo, spostandosi nella situazione simmetricamente opposta nel 2018 quando le minori spese conteranno solo per il 45%”.