Ho vissuto una piacevole sensazione di déjà vu mentre scorrevo un articolo pubblicato sull’inserto Casa del Sole 24 ore intitolato “Le banche fanno cassa vendendo il mattone”, dove si racconta del tentativo degli istituti italiani di liberarsi di grosse quantità di beni immobiliari rimasti incagliati.
Infatti mi è tornato in mente un altro articolo, pubblicato sempre sul Sole 24 ore nel lontano 10 agosto 2002, titolato stavolta “Le banche rilanciano il ballo del mattone”. Al di là dei toni, frizzante e ottimista quello del 2002, dimesso e preoccupato quello del 2013, il succo è lo stesso: le banche italiane stanno cercando di liberarsi di quote cospicue di beni immobiliari, come se negli ultimi 11 anni non fosse cambiato nulla. Salvo la domanda: chi compra?
Nel 2002 la risposta era facile. Il mondo bancario aveva di che sorridere: tassi bassi e fiducia alle stelle favorirono una notevole quantità di spin off dei loro patrimoni immobiliari che generarono per gli istituti enormi plusvalenze e fecero schizzare alle stelle l’ottimismo (e i valori). L’euforia generò, letteralmente, una miriade di operatori sponsorizzati dalle stesse banche che si buttarono con voracità sul mercato lucrando riccamente altre grosse plusvalenze grazie a compravendite istantanee, mentre il carico debitorio sulle famiglie, sempre grazie al credito “gratis”, aumentava a due cifre.
Sappiamo com’è finita: nel 2008 la crisi americana si è abbattuta come uno tsunami su mattone italiano. Le banche hanno chiuso i rubinetti, i prezzi si sono congelati, la domanda è crollata, l’offerta è rimasta appesa. Molti istituti di credito si sono viste restituire le case che tanto allegramente avevano venduto a debito, perché i debitori non erano più in grado di pagare il mutuo (o il fido) e adesso il loro portafoglio immobiliare si è di nuovo gonfiato. Chiaro che vogliano liberarsene.
Ma siccome l’aria è cambiata, la buona volontà non basta più. Anche perché sul tappeto c’è un altro grande proprietario – lo Stato – che da anni promette di vendere il suo, di patrimonio immobiliare, malgrado il pregresso (ne parleremo un’altra volta) abbia mostrato che lo Stato, già pessimo proprietario, si è rivelato un venditore ancora peggiore.
Per di più i prezzi sono previsti in calo, il credito è stitico e la fiducia ancora al lumicino. Se lo Stato e le banche (per non parlare delle assicurazioni) mettessero davvero sul tappeto i loro patrimoni immobiliari rischierebbero di far crollare i prezzi, con relativo nocumento per i loro attivi patrimoniali.
Chiaro che per il momento le banche si accontentino di mettere on line le proprie offerte (lo fa anche il Demanio, peraltro) come un qualunque agente immobiliare. Si mira al privato italiano, anche piccolo, almeno per il residenziale, sognando il grande investitore istituzionale, magari estero.
Ma è proprio quest’ultimo che latita. Sempre sul Sole 24 leggiamo di uno studio di Bnp Paribas secondo il quale la quota di investimenti esteri sul mattone italiano è ai minimi storici. Nel 2012 le transazioni si sono bloccate a quota 1,7 miliardi di euro, il 60% in meno dei 4,3 miliardi del 2011, quando erano già in crisi profonda. Pensate che nel 2007, prima dello sboom, si era raggiunto il picco di 7,552 miliardi di euro di acquisti dall’estero.
Un’altro dato citato nell’articolo fa riflettere. Nel triennio 2009-2012 sono cresciuti gli investimenti dei fondi immobiliari italiani, dal 26 al 39%, mentre i fondi esteri, quelli tedeschi in testa, sono fuggiti via (dal 17 al 4%). Il mattone raschia il barile e trova il Fondo, abbiamo scritto qualche giorno fa (vedi post).
Quello che non sapevamo, perché non disponevamo dello studio Bnp Paribas, era che fossero fondi italiani. E solo loro. Persino le società immobiliari, le assicurazioni e i fondi pensione italiani hanno ridotto la loro esposizione, dal 9% del totale degli investimenti ad appena l’1%. Gli unici che ancora investono sul mattone italiano sono i privati e le società corporate. Da qui gli annunci immobiliari delle banche.
Quello che invece sapevamo, anche senza aver letto lo studi di Bnp Paribas (vedi post Un mattone s’aggira per l’Europa), era che il mercato tedesco è quello più attrattivo per chi vuole investire sul mattone. Lo conferma la fuga dei fondi tedeschi dall’Italia, che di sicuro trovano più conveniente investire a casa loro, visti i prezzi, e la crescita degli investiment in questo paese, arrivata nel 2012 a quota 44,7 miliardi, il 9% in più rispetto all’anno precedente. A Berlino la crescita annua è stata addirittura del 65%.
Insomma, la Germania non solo rastrella denaro per i suoi titoli a costo zero (per non dire negativo) ma si rivela anche il mercato più attrattivo per gli investimenti immobiliari, visto che i prezzi reali non crescono da dieci anni. Peggio di noi va solo Madrid.
Ma anche questo lo sapevamo: se si osserva la crescita dei prezzi immobiliari dal 1975 al 2012 si vede che la bolla italiana (indice 100 nel 1975, 1.750 nel 2008) è seconda solo a quella spagnola (indice 100 nel 1975, 4.000 nel 2008).
Quindi le banche italiane vendono casa, ma non sanno come fare. Il timore è che sperino in un miracolo.
La condizione ideale per combinare guai.