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La perequazione delle pensioni, tutti i dettagli

Di Carlo Sizia e Stefano Biasoli

La perequazione è il termine che identifica la rivalutazione dell’importo pensionistico legata all’inflazione. In pratica si tratta di un meccanismo attraverso il quale l’importo delle pensioni viene adeguato all’aumento del costo della vita come indicato dall’Istat.

Il fine che la legge intende perseguire è quello di proteggere il potere d’acquisto del trattamento previdenziale pensionistico, qualsiasi esso sia.

Purtroppo, in questi ultimi anni le modalità di erogazione della rivalutazione sono state più volte riviste dal legislatore, per esigenze “teoriche” di contenimento della spesa pubblica, sino a generare molta confusione.

L’adeguamento di cui stiamo parlando deve essere effettuato su tutti i trattamenti pensionistici erogati dalla previdenza pubblica (cioè dall’assicurazione generale obbligatoria e dalle relative gestioni dei lavoratori autonomi nonchè dai fondi ad essa sostitutivi, esonerativi, esclusivi, integrativi ed aggiuntivi): quindi in esso rientrano sia le pensioni dirette (es. pensione di vecchiaia o anticipata) sia quelle indirette (pensione superstiti) a prescindere dalla circostanza che tali prestazioni siano o meno integrate al trattamento minimo.

LA STORIA DELLA PEREQUAZIONE

Già in passato i trattamenti pensionistici elevati sono stati oggetto di una riduzione delle aliquote di indicizzazione.

Negli anni ’80-‘90 la materia era regolata dall’articolo 24, della legge 41/1986 che garantiva un adeguamento pieno sino a 2 volte il minimo, al 90% tra le 2 e le 3 volte il minimo e del 75% per le fasce eccedenti il triplo del minimo.

Nel 1998 l’articolo 11, comma 13 dell’articolo 59 della legge 449/1997 aveva disposto il congelamento della perequazione sugli importi dei trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il minimo Inps e che, per il biennio successivo, l’indice di perequazione doveva essere applicato nella misura del 30% per le fasce di importo tra le cinque e le otto volte; superato tale limite di importo, la perequazione non doveva trovare più applicazione.

La legge 388/2000 aveva suddiviso – a partire dal 1° gennaio 2001 – la perequazione in tre fasce all’interno del trattamento pensionistico complessivo e l’adeguamento veniva concesso in misura piena, cioè al 100% per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo; scendeva al 90% per le fasce di importo comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo; e ancora calava al 75% per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo. Prima degli anni ‘90 la materia era regolata dall’articolo 24, della legge 41/1986 che garantiva un adeguamento pieno sino a 2 volte il minimo, al 90% tra le 2 e le 3 volte il minimo e del 75% per le fasce eccedenti il triplo del minimo.

La legge 247/2007 introdusse poi, per il solo anno 2008, il blocco totale sull’intero importo delle pensioni superiori ad 8 volte il minimo Inps.

Per il triennio 2009-2011 l’aumento perequativo è stato garantito in misura piena, secondo i parametri della legge 388/2000 (articolo 5, comma 6 del decreto legge 81/2007; legge 127/2007).

Con il Decreto legge 201/2011 (legge 214/2011) è stato invece disposto il blocco dell’indicizzazione nei confronti delle pensioni che erano di importo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps. Le pensioni di importo inferiore sono state invece adeguate pienamente all’inflazione (+ 2,7% nel 2012 e + 3% nel 2013).

Dal 1° gennaio 2014, la legge 147/2013, ha introdotto un sistema di rivalutazione suddiviso in cinque fasce, sistema  prorogato poi dalla legge di stabilità 2016 (208/2015)  sino al 31 dicembre 2018.

In dettaglio, per le pensioni di importo fino a tre volte il trattamento minimo l’adeguamento avviene  in misura piena (100%); per le pensioni di importo superiore e sino a 4 volte il trattamento minimo viene riconosciuto il 95% dell’adeguamento; per quelle di importo superiore e sino a 5 volte il minimo l’adeguamento è pari al 75%; adeguamento che scende al 50% per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a 5 volte il minimo e al 45% per i trattamenti superiori a 6 volte il trattamento minimo Inps.

Dal 2014,quindi, non opera più il criterio della percentuale decrescente della rivalutazione, in rapporto alle diverse fasce pensionistiche in godimento.

Su queste norme si è poi inserita la Sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale il blocco biennale previsto dalla Legge Fornero sui trattamenti superiori a 3 volte il minimo. Per accogliere la censura della Corte l’esecutivo Renzi è intervenuto con il decreto legge 65/2015 (poi legge 109/2015), un provvedimento che tuttavia ha garantito una rivalutazione parziale e retroattiva solo dei trattamenti ricompresi tra 3 e 6 volte il minimo Inps lasciando sostanzialmente confermato il blocco biennale sui trattamenti superiori a 6 volte il minimo Inps.

tabella perequazioni pensioni

Rielaborazione: Centro Studi Confedir-FEDERSPeV – Marzo 2017

LA RIVALUTAZIONE EFFETTIVA

Sulle fasce di rivalutazione sopra esposta bisogna applicare il tasso di inflazione annua. Dalla moltiplicazione del tasso di inflazione per le fasce di rivalutazione si ottiene, pertanto, il tasso effettivo di rivalutazione che ogni anno viene corrisposto negli assegni. L’applicazione della rivalutazione, com’è noto, avviene ad inizio di ogni anno in via provvisoria rispetto all’inflazione dell’anno uscente (2016) ed in via definitiva rispetto a quella dell’anno prima (2015) sulla base dei valori indicati in un decreto del ministero dell’economia adottato alla fine dell’anno.

Nel 2017 sia il tasso di inflazione definitivo relativo allo scorso anno che quello provvisorio relativo ai primi 9 mesi del 2016 è risultato pari a zero. Pertanto gli assegni in pagamento dal 1° gennaio 2017 non subiscono alcun cambiamento. C’è da dire, però, che a gennaio ci sarà un conguaglio una tantum negativo per recuperare la maggiore indicizzazione concessa nel 2015 quando fu riconosciuta una rivalutazione provvisoria dello 0,3% nel dicembre 2014 contro una rivalutazione effettiva dello 0,2%. Il conguaglio in parola sarebbe dovuto avvenire il 1° gennaio 2016 ma la legge di bilancio per il 2016 ha rimandato tale effetto al 2017. A sua volta, la legge 19/2017 – di conversione del decreto “milleproroghe” 244/2016 – ha ulteriormente differito al 1°gennaio 2018 il conguaglio negativo dello 0,1%, rispetto a quanto percepito nel 2015.

tabella 2 perequazione pensioni

Rielaborazione: Centro Studi Confedir-FEDERSPeV – Marzo 2017

 



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