Secondo l’ultimo studio McKinsey, entro il 2025 ci saranno 140 milioni di posti di lavoro in meno e nei prossimi vent’anni metà dei lavoratori verranno sostituiti dall’automazione. Se è indubbio che l’innovazione sia un fattore cruciale della produttività, nel dibattito internazionale si impone il tema dell’individuazione di contrappesi sociali, in grado di contenerne le conseguenze sull’occupazione. Se ne è parlato ieri al workshop “Innovazione tecnologica e lavoro” organizzato dalla Commissione speciale dell’Informazione del Cnel, anche per raccogliere suggerimenti utili da inserire nel Rapporto annuale che il Consiglio redige sul mercato del lavoro.
“MENO REGOLE, PIÙ FANTASIA E PIÙ INNOVAZIONE”
Per Massimo Blasoni, presidente del Centro studi Impresa lavoro, il segreto per rilanciare economia e occupazione è basato su un’inversione di proporzioni fra regole e innovazione. “La disoccupazione giovanile in Italia è al 35,2%, in Germania al 7%, nel Regno Unito al 13%, è necessario cambiare il sistema regolatore del lavoro”, ha detto. “Il paese richiede contrappesi sociali e innovazione, ma prima ha bisogno di competitività. Negli Stati in cui l’innovazione è forte, le norme vi si adattano, mentre in Italia prevale la regola. Come se non bastasse, il nostro è l’ultimo paese Ocse per numero dei laureati e ci sono serie difficoltà economiche a fare ricerca”.
LIBERO SCAMBIO E POLITICHE ATTIVE PER INCORAGGIARE LE IMPRESE
C’è un disallineamento fra la distruzione dei posti di lavoro causata dalla tecnologia e la creazione di nuova occupazione. Un gap che solo la creazione di competenze può colmare, afferma Bruno Busacca, capo segreteria tecnica del ministo Poletti: “La prima globalizzazione, nell’Ottocento, è stata fermata dalla guerra, non con misure protezionistiche. E la difesa di un mondo di libero scambio è un’utopia, ma è anche un’idea egoistica, un bene per il Paese. Ci vogliono un disegno di politica del lavoro e un passaggio dalle politiche passive a quelle attive, oppure si riformi il sistema dei contratti, per incoraggiare le imprese a investire nel capitale umano”.
DIFFONDERE LA DIGITALIZZAZIONE PER AUMENTARE LA PRODUTTIVITÀ
Ma gli incentivi all’innovazione non bastano, occorre un cambiamento di sistema che preveda nuove dinamiche di diffusione della digitalizzazione e della conoscenza, dai centri del sapere al mercato, sottolinea Salvatore Zecchini (nella foto), Commissione Ocse per le piccole e medie imprese. “Solo così sarà possibile combattere la crisi del modello economico che questo Paese ha attraversato negli ultimi trent’anni, le mutazioni demografiche che vedono l’Italia invecchiare sempre di più e la carenza di innovazione”.
SCUOLA E LAVORO, DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
Secondo Paolo Reboani esperto, Istat, l’Italia trova grandi difficoltà nel costruire le nuove competenze e nell’aprire ancora di più la base occupazionale ai giovani e alle donne, categorie in cui il Paese è sottodimensionato rispetto all’estero. “Nella pubblica amministrazione è molto difficile, perchè le assuzioni sono ferme, quindi non c’è un coinvolgimento di nuove capacità. Ma può essere possibile riformando l’istruzione tecnica professionale, che è a stretto contatto con il territorio, e renderla più incisiva, insieme all’alternanza scuola-lavoro. È necessario quindi responsabilizzare le scuole, gli imprenditori e le parti sociali, superando la difficoltà a fare questo salto, che prima di tutto è culturale. A parte alcuni segmenti come industria farmaceutica e industria aerospaziale il legame fra università e lavoro non è abbastanza stretto”.