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Cosa (non) c’è nel Def e nel Pnr

def, Pier Carlo Padoan

Ieri il Consiglio dei ministri ha iniziato la sua ventitreesima sessione (da quando è in carica il governo Gentiloni) con due argomenti all’ordine del giorno; a) Il Documento di Economia e Finanza (Def) 2017 e b) un decreto legge che – si presume – incorpora la manovra di aggiustamento richiesta dall’Unione Europea (UE). Di Programma Nazionale di Riforma (Pnr) che in base alla legge 31 dicembre 2009, n. 196 dovrebbe essere varato simultaneamente al Def, l’ordine del giorno non parla. È da presumere che sarà un allegato al Def oppure incorporato nel Def.

L’attenzione è quasi interamente sulla manovra di aggiustamento, in particolare sul nuovo carico fiscale che –  di riffa, di raffa o di baracca – tale manovra comporterà soprattutto sul consumatore (tra split payment e accise varie, anche se il governo assicura che non ci saranno nuove tasse…), mentre insiste che il suo obiettivo è quello di ridurre le tasse e promuovere la domanda aggregata, e, quindi, i consumi.

In effetti, dei contenuti del Def si parla poco (si annuncia, peraltro, una politica per promuove la ripresa, ancora molto fragile). Di Pnr ancora meno ed in modo molto generico (privatizzazioni, liberalizzazioni, impulso agli investimenti). L’impressione che si ricava è che, accontentandosi di aver fatto, in larga misura, quadrare i conti per l’aggiustamento, le vere partite verranno giocate in settembre: a) una tra Italia (ed altri Paesi dell’Europa del Sud) su come calcolare l’output gap e, quindi, il deficit strutturale ed il debito pubblico ammissibile ai sensi degli accordi europei; b) l’altra puramente interna su come ridurre debito e deficit (alla luce dei risultati di a) senza fare scattare la clausola di salvaguardia dell’aumento dell’Iva.

Se le vere partite si giocano in autunno, tutto il sistema Def-Pnr perde mordente. Era stato concepito in modo lineare e razionale. Allineata la tempistica di quasi tutti gli Stati UE, sono stati definiti anche i principali documenti in modo che si possa farne un esame collegiale. In questa ottica, i primaverili Def e Pnr hanno compiti simili ma ben distinti. Il primo presenta il quadro economico (e di finanza pubblica a medio termine- 24-36 mesi perché la modellistica econometrica non consente di fare di più con la sufficiente accuratezza e l’adeguato dettaglio). Il secondo indica le riforme “strutturali” (nel senso di ‘strutture economiche’, non di istituzioni) che ci si impegna a fare per realizzare la strategia e raggiungere gli obiettivi del Def. Non mancano altri documenti per preparare Legge di Bilancio, che si deve presentare a metà settembre, come ad esempio il “Rapporto sul Mercato del Lavoro” che pubblica il Cnel in luglio.

Questi documenti, non loro insieme, forniscono la logica per la ‘Legge di Bilancio’, quindi, per darle rigore e compattezza. Ridurli a mero supporto di una ‘manovra di aggiornamento’, come traspare dai resoconti di stampa, non solo li svilisce ma dà la forte impressione che la ‘manovra di aggiustamento’ oggi e la ‘Legge di Bilancio ’ tra qualche mese nascano altrove, siano il frutto di micro- negoziazioni, non il risultato di dove deve e può andare l’economia italiana nei prossimi anni, quali correzioni di rotta debbano essere fatte e quali ‘riforme strutturali’ debbano essere attuate per sostenere la crescita di lungo periodo, tornare ad un livello soddisfacente di produttività e soprattutto riattivare quell’ascensore sociale che sembra essersi fermato ai piani bassi.

C’è ancora modo di mettersi sulla corretta strada. Emanato il decreto legge sulla “manovrina”, riattivare la riflessione e la discussione su Def e Pnr e varare una ‘nota aggiuntiva’ ben prima dell’estate per dare nerbo alla Legge di Bilancio. Si avrà il coraggio di farlo?


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