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Diario di un pellegrino a Medjugorje

MEDJUGORJE

(Quinta puntata dell’approfondimento dedicato a Medjugorje)

Nelle scorse puntate abbiamo raccontato l’inizio delle apparizioni di Medjugorje, la posizione attuale della Chiesa cattolica, esorcismi e miracoli, il costo dei pellegrinaggi. In questa puntata ho rispolverato un diario che ho tenuto in tempo reale, armato di quadernino e penna stilografica come si faceva una volta, nel quale ho appuntato un pellegrinaggio express della Mafegeni Viaggi al quale presi parte come inviato per una rivista con cui collaboravo al tempo. È l’aprile del 2015 e il pellegrinaggio durerà 3 giorni: il diario è inedito e lo presento ricostruendo sulla base degli appunti presi salendo e scendendo dal Podbordo scalzo e portandomi appresso l’equipaggiamento che ho descritto.

Ancora una volta ricordiamo ai lettori: le apparizioni di Medjugorje non sono state ufficialmente riconosciute dalla Chiesa cattolica. I fedeli possono essere liberi di credervi oppure no, per cui intenderemo “i veggenti” o “la Madonna” con questa precisazione: per chi non ci crede saranno ovviamente “i presunti veggenti” o “la presunta Madonna”.

PELLEGRINO A MEDJUGORJE

Giorno 1, venerdì 17 aprile 2015

Sono le 18.30 in piazzale Cadorna a Milano e sto per partire, inviato e per alcuni motivi personali pellegrino anch’io a Medjugorje. Sono su un pullman insieme alla guida, Uriele Nizzi, che ha la mia stessa età ed è uno che si guadagna la vita spendendosi per gli altri. Con noi gli autisti e un piccolo gruppo di pellegrini con cui ci conosceremo strada facendo. Partiamo. C’è traffico in autostrada, Uriele intanto mi parla del pellegrinaggio e spiega che in 3 anni è andato a Medjugorje 30 volte, la prima per il Festival dei Giovani che si tiene in estate. Si tratta di una kermesse nata nel 1988 e che ogni anno dal 31 luglio al 6 agosto: una specie – passateci il termine – di Woodstock in salsa mariana a base di incontri di preghiera per giovani da ogni parte del mondo, inaugurata e sostenuta da padre Slavko Barbaric, francescano morto nel 2000 che è stato tra i primi a sostenere le apparizioni e diffonderne i messaggi. Uriele mi spiega che quando si va in pellegrinaggio a Medjugorje lui fa di tutto perché si divenga subito una famiglia. E intanto l’autobus mangia km di asfalto, fermandosi ad Agrate, Brescia Centro, Verona, Padova. Fuori intanto viene buio, si fa sera. Vediamo un filmato con Saverio Gaeta, vaticanista di valore, che spiega i fatti storici delle apparizioni, poi (come potrete immaginare) alle 23.50 è ora del Rosario. All’1.30 del 18 aprile 2015, il torpedone bordeggia tra i varchi della frontiera con la Croazia. Documenti. E diamoli ‘sti documenti: Uriele scende e nel giro di una decina di minuti, non senza la salita a bordo di una solerte poliziotta croata che vuole alcuni chiarimenti sui documenti di una pellegrina (è una ragazza ucraina venuta in Italia a fare la badante), finalmente ci rimettiamo in marcia. C’è di tutto: chi chiede la grazia di un figlio, chi ringrazia per una malattia, chi ha bisogno di fede, chi vuole capire. Ognuno con la sua storia accomodata seggiolino dopo seggiolino.

Riporto quello che ho scritto: “Notte lungo la Croazia. Piove. Gallerie”. E in effetti non c’è molto altro: lo spazio, malgrado viaggi avanti e abbia due sedili a disposizione, è quello che è per il mio metro e 90. Mi sistemo alla meno peggio e, un po’ cullato dall’asfalto, un po’ svegliato da qualche giunto sui ponti, seguo la strada in dormiveglia.

Giorno 2, sabato 18 aprile 2015

L’autostrada A1, in Croazia, è moderna e in perfette condizioni. Non stiamo percorrendo la litoranea, ma l’E71 che è un’autostrada interna completamente a tre corsie per senso di marcia. Devono averla completata da poco e passa in mezzo ad un terreno pietroso, completamente spoglio e brullo. Ci fermiamo durante la notte per una pausa caffè e bagno per chi vuole, scendiamo in pochi coraggiosi o nottambuli. Non c’è un’anima viva in giro e nell’enorme piazzale ci sono forse una decina di Tir addormentati. Le aree di servizio sono pulite, bagni inclusi, e il personale parla inglese quasi sempre. “Come in Italia, uguale uguale”, mi viene da pensare ricordando alcune sceneggiate autostradali e ferroviarie di personale non sempre all’altezza. Viaggiamo in mezzo al nulla più assoluto e però i pannelli informano: magla che in croato è la nebbia. Qualche tratto, in effetti, si snoda in mezzo al muro grigio simile a quello della Valpadana. Magla ci terrà compagnia anche sulla strada del ritorno, a volte con l’asfalto lucido ma sempre in buono stato.

Alle 7.30 siamo a Sebenico e il tempo è buono, nella notte deve aver piovuto. È ora di caffellatte (2 euro e 70 un cappuccino e un cornetto all’italiana), poi di nuovo in marcia alle 7.50. Alle 8.30 telefono a casa: la Croazia permette di servirsi del roaming e quindi si può telefonare a prezzi umani: a Medjugorje, che è Bosnia Erzegovina, meglio affidarsi ad un telefono pubblico o a Skype, perché col telefonino ci rimettete il portafogli. Qualcuno, intanto, intona qualche coro parrocchiale, Santo Rosario alle 9.10. Riprende a piovere, ma alle 9.45 il navigatore – che vedo dalla mia posizione – ticchetta 55 km all’arrivo. Nel frattempo ho fatto conoscenza con alcuni pellegrini. Ci sono ad esempio i signori Monopoli, che sono pugliesi: “Di vicino San Giovanni Rotondo, io andavo da Padre Pio e mia moglie pure, quando s’era ragazzi”, mi spiega il signor Matteo che è qui insieme a sua moglie e sua figlia Luciana, sposata da poco. E che le diceva Padre Pio, gli chiedo? “Era sempre gentile con me, mi diceva: uagliò, tranquillo, vai bene. Va tutto bene”, mi dice lui. E spiega: “Che poi, noi… insomma sì andavamo da Padre Pio ma per noi era allora una cosa normale, anche se si sapeva chi fosse”. Mi viene da pensare all’idea di santità che aveva Karol Wojtyla, l’idea dell’ordinarietà della santità. E Matteo mi dà da riflettere mentre il pullman esce dall’autostrada e imbocca una vecchia statale tutta curve nella quale spesso sembra virare da un lato all’altro come una specie di transatlantico a ruote. Finalmente alle 10.15 la dogana, appunto sul diario: “Questa strada 25 anni fa era la stessa di una sola nazione: la Jugoslavia. Ci sono un sacco di lavori in corso accanto alla dogana. E questo è un campo di zucche. Un gruppo canta in continuazione: prima composizioni a sfondo religioso, poi prova a passare al repertorio contemporaneo. Ma all’uscita dalla Croazia la burocrazia incombe…”

Ecco di nuovo i solerti poliziotti alle prese con la nostra ucraina. Riporto dal diario: “Per quale motivo non c’è la data di scadenza sui permessi di soggiorno? C’è una richiesta di cittadinanza in corso; poi tutto si appiana e passiamo 50 metri oltre. Uriele mi parla del suo paese in provincia di Reggio Emilia”. E qui siamo al comico: la seconda frontiera d’ingresso per la Bosnia è costituita da alcuni container e ci tocca fare un po’ di coda. Poi viene il nostro turno ed aspettiamo un poco mentre l’autista, Salvatore, è sceso a parlare col capoposto. Finalmente dopo un po’ il capoposto, larga faccia slava con baffoni d’ordinanza esce dal container, guarda il pullman, fa aprire un momento i portelloni, li fa chiudere, e con un largo sorriso e una pacca sulla spalla congeda il nostro timoniere. Del resto i due si vedono mediamente ogni 15 giorni, quand’è stagione, in fondo sono diventati amici. Sono le 11.50 e ci siamo quasi, Medjugorje è dietro l’angolo e ci serve una vignetta per l’autobus. Ancora 2 km e poi il cartello indica: “Welcome to the Shrine (il Santuario? Ma non c’è il Santuario!!!) of Medjugorje”. Guardo l’orologio, segna le 12, 25 minuti e 50 secondi di questo sabato.

L’autobus finalmente arriva alla nostra pensione, è ora di pranzo. A alle 13.22, dopo aver scaricato i bagagli e dato una rassettata alle nostre capigliature, facce e pensieri, tenendoci per mano attorno ai tavoli dopo un Pater e un’Ave ci mettiamo a mangiare. Il menu locale è quello che curiosamente ho trovato pure a Lourdes per i pellegrini italiani: cotoletta di pollo fritto e patatine, ma c’è anche della pasta e gli spaghetti non sono male. Qui ci sono anche degli amari fatti in casa, il ciliegino dolciastro ma non troppo, davvero buono. Grappe. Facce distese. Faccio un giro di conversazioni dopo mangiato, un paio d’interviste dopo le 14.30 e ci danno il programma del pomeriggio: stasera Adorazione eucaristica alle 21 (ma non ci andrò, mi metterò invece a letto perché sarò stanco morto dopo le contorsioni notturne in torpedone). Intanto fuori diluvia e alle 16 siamo alla Comunità Cenacolo di Suor Elvira.

Riporto dal diario: “Sta diluviando. 16.15: Testimonianza alla Comunità Cenacolo di Sr. Elvira. Viene proiettato un filmato sulla storia della Comunità (…) l’inizio risale al 1983 in quel di Saluzzo (Cn) e l’esperienza che ha vissuto l’ha aiutata a riscoprire la fede. (…) Un giorno Sr. Elvira va in pellegrinaggio a Medjugorje e trova che al ritorno i ragazzi della Comunità sono sereni. Degli italiani le fanno anche dono del terreno dove sorgerà la casa in quel di Medjugorje comprando il terreno per lei. Inoltre, nelle missioni all’estero gli ex ragazzi della comunità vanno a vivere lì creando una famiglia allargata con la presenza anche di bambini. (…) La Comunità Cenacolo è stata riconosciuta come Associazione di Fedeli il 16 ottobre 2009”. Segue poi la testimonianza di due ragazzi della Comunità che hanno avuto un’adolescenza difficile e problemi anche di abuso di droga.

Sono le 18:00 e siamo davanti alla chiesa di San Giacomo a Medjugorje. È la chiesa che si vede nelle foto della città, e ai due lati ha i confessionali: quelli multilingue, ovviamente, sono presi d’assalto. Ancora il mio diario: “In coda al confessionale mentre si celebra la S. Messa. Come aveva previsto Uriele, il sacerdote si affaccia e annuncia di poterne confessare ancora 3. Non sono tra i fortunati. Vediamo domani”. E qui mi viene da ridere. Fiorello, in una delle sue epiche tirate a Viva Radio 2, ha detto: “Sei stato a Lourdes e hai trovato chiuso”. Ecco, l’incubo si sta materializzando: io, un giornalista che scrive di Vaticano e religione, sto per trovare chiuso a Medjugorje. E mi viene da ridere mentre ci mettiamo a tavola.

Questo il programma che ci viene comunicato per domani, e che copio: “Domattina, 19 aprile: 7:15 Colazione; 8:00 Si va a fare mezz’ora in chiesa: candele, storia delle apparizioni; 9: Santa Messa in Italiano. Al termine si va subito ai confessionali. Tempo libero fino alle 12.30, poi verrà servito il pranzo. N.B.: Se il tempo lo permette si va al Krizevac (c’è una Croce eretta nel ‘34) domani pomeriggio, altrimenti si farà altro.

Alle 21.00 mi ritiro, lo annoto così: “Dico a Uriele che non parteciperà all’Adorazione e mi spiace. Ho più che altro l’idea che prenderò freddo e oggi è stato ventoso. Finisco di vergare queste note, una lettura al Corriere, mi sistemo e dopo vado a letto”.

Giorno 3, domenica 19 aprile 2015

Alle 5.54 mi sveglio, le prime luci dell’alba filtrano dalla finestra. Il sole sorge su Medjugorje, casa mia è lontana e io sono qua, solo, in questa stanza. Ed è sempre un momento nostalgico: è una giornata di pace, in pace. Alle 6.30 già a leggere il Corriere e fare colazione, poi tutto gira velocemente: 7.25 prendo i “ferri del mestiere”, alle 8.22 ai confessionali dove non ci sono ancora sacerdoti ma c’è gente. Le nove del mattino, la messa al capannone giallo dietro la chiesa di San Giacomo, poi 45 minuti dopo di nuovo ai confessionali. C’è tanta di quella gente che ci sono preti a confessare sulle panchine o in piedi. A me finalmente tocca alle 11.10: l’incubo della “situazione Fiorello” si allontana. Sono le 12.30. Dopo una telefonata a casa, si pranza. Dopo mangiato si salirà fino al Podbordo. Annoto: “Vediamo che cosa succederà quando saremo in cima: ma questa è solo una regressione della mia fede. Quello che deve succedere succederà, il “sole danzante” deve nascerti nel cuore. Debbo e posso dirmi soddisfatto delle interviste e spero di farne ancora qualcuna prima del rientro in Italia di stanotte. Oggi fusilli col ragù per primo piatto”. C’è un momento di preghiera ogni giorno, prima di mangiare. Oggi è arrivata la notizia della strage nel canale di Sicilia, si temono 700 morti. Si prega anche per loro. Poi si mangia.

Ore 13.25, annoto: “Finito di mangiare. (…) La sensazione – parlando coi presenti – è quella di una generale pace e tutti sono finalmente sollevati. È vero ed è bello. Intanto girano i caffè e siamo quasi pronti per le comunicazioni del pomeriggio”. E infatti il pomeriggio significa Podbordo. È questo monte sassoso, buono per le capre che qui infatti venivano a pascolare, il nostro punto d’arrivo. È qui che le apparizioni sono cominciate, è qui il punto da cui si discute dentro e fuori la Chiesa. La nostra guida spiega: “Non si va lassù per fare gli eroi: chi è nel gruppo aspetta l’ultimo che ha problemi e si reciterà il rosario. Partenza alle 14.15”. Alle 18.00 S. Messa in italiano e alle 19.30 cena. Poi nella notte si ripartirà.

Partiamo alle 15.20: la giornata è bella e calda. Dunque è questo posto desolato, pieno di gente che sale lentamente e che ricorda nella forma le raffigurazioni del Purgatorio che si trovano nelle edizioni della Divina Commedia per la scuola che abbiamo avuto tutti, il punto d’arrivo di questo viaggio. Mi levo le scarpe e le calze, afferro due bastoni e comincio a salire insieme a tutti gli altri. Ci sono tanti cippi quanti i Misteri del Rosario, sono quelli Gloriosi. La salita è dura, anche perché da scalzi si sente la pietra appuntita e quando mi rimetterò le scarpe in cima mi accorgerò di sanguinare dalle piante dei piedi.

Ma non importa. E in cima, un po’ ansimante, ci arrivo alle 16.47 e per un momento tutto è silenzio. C’è un po’ di vento, una brezza leggera. Il sole. Finalmente il caldo. Molti sono commossi davanti alla statua della Madonna che è stata posta lassù: a me viene da pensare a Paolo VI che diceva della Chiesa: “Da qui nessuno è escluso, nessuno è lontano”.

Scendiamo, sia pure con attenzione perché il rischio di cascare e farsi male è evidente, e andiamo a prendere un taxi per tornare alla pensione. Ci carica un vecchio Mercedes del 1984 che ha orgogliosamente percorso 720mila km: il proprietario, che mastica un po’ d’italiano, spiega che siccome in tanti qui sono emigrati in Germania negli anni ‘70 e ‘80, quando sono tornati e si sono messi in proprio come tassinari hanno comprato Mercedes usate a poco prezzo in Germania e se le sono portate qua per il servizio. Tariffa calmierata in paese: 5 euro per qualsiasi destinazione. Fuori paese: 10. Tassametro? Parliamone…

Finalmente alla pensione. Ci si sistema, alle 19.30 la cena: il tempo stringe. Ed ecco che è successo: i Monopoli, padre e figlia, mi raccontano di aver visto alle 18.40 il sole che balla, proprio in concomitanza con l’ora dell’apparizione mariana quotidiana. “C’erano una coppia di ragazze, sono scoppiate a piangere”, mi spiegano. E mi fanno vedere le foto. C’è anche un video, ma ammetto di non vedere granché. Il finale è un po’ mesto, come tutti i viaggi di ritorno. Alle 21.45 siamo sul pullman: alle 14.05 di lunedì 20 aprile 2015 tocco terra di nuovo a piazzale Cadorna, Milano. Dove tutto questo è cominciato.

Prima puntata

Seconda puntata

Terza Puntata

Quarta Puntata

(5.continua)



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