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Che cosa si diranno Donald Trump e Paolo Gentiloni

Il premier Gentiloni stasera vedrà Donald Trump alla Casa Bianca. Cosa si diranno i due leader? Il presidente americano chiederà al nostro primo ministro di aumentare le spese nel comparto militare per raggiungere la fatidica quota del 2% del Pil, soglia adeguata per evitare l’obsolescenza della Nato. Gentiloni gli risponderà con imbarazzo che non è possibile, visti i tempi di magra, ma lo rassicurerà rinnovando l’impegno delle nostre forze sui tanti teatri esteri. Con oltre quattromila uomini impiegati nelle missioni internazionali, l’Italia può mostrare all’alleato quanto sia decisivo il nostro contributo nella stabilizzazione dell’ordine internazionale. L’argomento dovrebbe incontrare il gradimento di Trump, che potrebbe chiedere all’Italia di assumersi nuove responsabilità in Iraq, in vista della delicata fase di riconciliazione nazionale che seguirà alla sconfitta del califfato, e in Afghanistan, dove la situazione si sta deteriorando. Le missioni italiane in Iraq e Afghanistan sarebbero così destinate a rinnovarsi e diventare parte degli sforzi di nation building su cui, com’è noto, gli americani sono restii ad impegnarsi.

Gentiloni porterà all’attenzione di Trump il dossier libico, cercando di intuire quale sia la posizione della sua amministrazione sul paese mediterraneo. Fino a questo momento, gli Stati Uniti di Trump sono rimasti alla finestra, e ad approfittarne è stata la Russia, incuneatasi nella rivalità tra il governo di Tripoli e il parlamento di Tobruk. L’Italia osserva con preoccupazione la persistente conflittualità tra le fazioni, di cui è l’Italia a pagare il prezzo in termini di flussi incontrollati di migranti in partenza sui famigerati barconi. Un’assunzione di responsabilità da parte americana aumenterebbe le possibilità di un accordo tra est e ovest, condizione necessaria per rafforzare il controllo libico delle coste. In cambio, gli italiani potrebbero garantire la leadership del processo, sulla scia dei precedenti tentativi che hanno visto il nostro Paese sponsorizzare il governo di accordo nazionale guidato da al-Serraj. Nell’ambito di questo sforzo, l’Italia potrebbe prospettare agli Stati Uniti un accordo con la Russia, che in Libia sostiene il generale Haftar: obiettivo che rispecchierebbe la vocazione del nostro Paese a essere al tempo stesso visceralmente atlantista e partner del Cremlino.

Nell’ottica della Casa Bianca, un’intesa libica sarebbe inoltre un passo in avanti nella lotta al terrorismo jihadista. Gli Stati Uniti hanno fornito l’estate scorsa un contributo decisivo all’offensiva delle milizie libiche con cui lo Stato islamico è stato espulso dal suo avamposto di Sirte. Ma poiché i jihadisti si sono riposizionati nelle regioni desertiche del sud, il problema è destinato a riproporsi. Di qui l’interesse americano ad avere un partner come l’Italia che si adoperi per ricreare quelle condizioni di normalità che rappresentano la precondizione per la sconfitta definitiva dello Stato islamico in Libia. Alle orecchie di un presidente che si è presentato ai suoi elettori come la nemesi dei jihadisti, una proposta risoluta di Gentiloni sulla stabilizzazione della Libia non possono che suonare come musica.

L’Italia, dunque, ha molto da offrire all’alleato americano. E, in cambio, potrebbe ottenere un ripensamento sulla politica commerciale della superpotenza, che ha recentemente minacciato l’introduzione di dazi punitivi per alcune importanti realtà italiane. L’artista del deal che vive a Pennsylvania Avenue potrebbe seriamente prendere in considerazione lo scambio offerto da Roma, facendo tirare un sospiro di sollievo alla nostra malandata economica che, senza il rilevante contributo fornito dall’export, starebbe assai peggio.



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