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Ecco perché Bersani e Berlusconi bisticciano sul confronto in tv

Grazie all’autorizzazione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo l’editoriale di Pierluigi Magnaschi comparso sulla versione odierna del quotidiano Italia Oggi

Per capire l’anomalia della politica italiana e quindi la sostanziale inspiegabilità all’estero della nostra vita politica, basta accertare come avvengono i dibattiti politici negli Stati Uniti fra i due sfidanti alla presidenza degli Usa. Lì si incontrano il presidente uscente con quello entrante. Si affrontano in diretta e parlano faccia a faccia, sia pure con regole molto strette in ordine ai tempi di esposizione delle loro tesi. Negli Usa (che è il Paese che per primo ha discusso con i propri cittadini attraverso la tv) non è concepibile che uno dei due candidati possa sottrarsi al confronto. I cittadini infatti hanno il diritto di vederlo in azione per poterlo giudicare. E lui deve partecipare al gioco dialettico. In Italia, invece, i candidati al confronto tv possono evitare il faccia a faccia. O in modo diretto: dicendo no, e non succede nulla. Oppure, come ha fatto ieri Berlusconi, adducendo le regole della Commissione di vigilanza Rai.

Sino a poche ore prima, il più restio a partecipare a un incontro tv era il segretario del Pd Bersani. La sua posizione è legittima, visto che non c’è alcuna norma in Italia che lo obbliga a farlo e visto che gli elettori non lo punirebbero col voto (come succederebbe negli Usa) se lui si sottraesse al confronto diretto con il suo antagonista politico. Oltre che legittima, la posizione di Bersani è per lui conveniente. Infatti, se ci si può astenere dal confronto diretto, al candidato in vantaggio (chiunque esso sia) non conviene partecipare a questo match perché, se viene messo sotto, perde una parte dei voti che si era già assicurato. E se invece vince il confronto, guadagna dei voti che non gli servono per vincere. Gli conviene quindi non rischiare.

In Italia, poi, le cose si complicano sempre. Adesso infatti si parla non più di fare un confronto diretto fra i leader dei due partiti finalisti (quelli ai quali i sondaggi attribuiscono più intenzioni di voto) ma fra ben sei leader di partito. Un confronto del genere, diluito fra tanti partecipanti, non sarebbe un dibattito ma una sfilata, dove i duellanti non si scontrano ma si esibiscono. È ovvio che Berlusconi, che cerca il colpo gobbo, lo rifiuti. Ed è altrettanto ovvio che Bersani, che teme il confronto diretto con uno (il Cav) che la tv la conosce e la usa come pochi in Italia (è il suo vero mestiere), preferisca nascondersi dietro la selva di sei partecipanti. Hanno quindi ragione entrambi a battersi per la soluzione a loro più conveniente. Ciò che rende diversa l’Italia è che nessuno difenda gli interessi degli elettori.


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