Quando a gennaio Donald Trump, appena insediatosi alla Casa Bianca, ha stracciato i patti del Tpp, il trattato commerciale Trans-Pacifico, molti hanno pensato che anche il destino del suo omologo europeo, il Ttip, fosse segnato. Invece, a quanto pare, non è così: sembra anzi che l’amministrazione Usa abbia intenzione di riesumare il Ttip, dato per defunto già la scorsa estate.
Lunedì 24 aprile era infatti in programma un incontro fra Wilbur Ross, segretario al commercio degli Stati Uniti, e la commissaria Ue al commercio, la svedese Cecilia Malmström. L’incontro è stato preceduto da un’intervista di Ross al Financial Times, nella quale l’americano ha sottolineato l’importanza di ridurre il deficit commerciale americano. “Le tre grandi economie che sono fonte del nostro deficit commerciale fuori dal Nafta (altro trattato che coinvolge Usa, Messico e Canada, ndr) sono la Cina, il Giappone e l’Europa. Dunque è logico che…dovremmo concentrarci sull’Europa”.
Parole che lasciano intendere come la politica di Trump, bollata da subito come protezionistica, potrebbe riservare sorprese, almeno per quanto riguarda i rapporti transatlantici. E tutto ciò malgrado la posizione che lo stesso Donald Trump aveva preso in campagna elettorale, definendo il Ttip “un attacco agli affari americani”.
LA STORIA DEL TTIP
Il Ttip che Trump oggi sembra voler riesumare, in realtà, non è affatto una sua creatura, essendo stato promosso, a partire dal 2013, dall’amministrazione Obama. Consiste di un trattato di impronta liberista che sostanzialmente incentiva gli scambi fra i mercati statunitense ed europeo ed è stato concepito con l’obiettivo di realizzare un’area di libero scambio. Non è mai entrato in vigore tuttavia prevedeva, per esempio, l’eliminazione di dazi, la liberalizzazione di servizi. Uno degli obiettivi del Ttip, soprattutto su sponda Usa, era riequilibrare la bilancia commerciale statunitense, cioè il deficit che risulta dalla differenza fra le esportazioni e le importazioni.
In realtà il Ttip, malgrado una sponsorizzazione di Angela Merkel, ha avuto un’accoglienza gelida nel Vecchio Continente, dove è stato visto come un tentativo Usa di conquista del mercato europeo (considerato il secondo al mondo con 500 milioni di consumatori) a scapito dei produttori locali. In Francia non è mai piaciuto. “Noi non siamo per il libero scambio senza regole”, diceva il presidente Francois Hollande. E anche nel Belpaese si contavano molti detrattori, preoccupati per la tutela del made in Italy. I negoziati sono stati lunghi e infruttuosi. La pietra tombale l’aveva messa lo stesso Obama a novembre, pochi giorni prima delle presidenziali Usa, in una conferenza stampa congiunta con la Merkel, dove la cancelliera aveva aggiunto: “I negoziati potrebbero riprendere, un giorno, e farò di tutto per collaborare con il neo presidente”.
TRUMP: PROTEZIONISTA O NO?
Le prime mosse del tycoon, all’indomani dell’insediamento, non hanno fatto ben sperare i supporter del Ttip. Fra i primi ordini esecutivi firmati dal presidente, infatti, c’è stato proprio il ritiro degli Usa dal Tpp. Sembra scongiurato, per ora, il recesso dal Nafta, che lo stesso Trump in campagna elettorale aveva definito “un disastro”. Beninteso, la rinegoziazione degli accordi con Canada e Messico è sempre in cima all’agenda commerciale Usa.
Sempre in tema di protezionismo, sul fronte europeo Trump un mese fa ha lanciato un’offensiva commerciale imponendo alcuni dazi su specifici prodotti (per esempio la Vespa e l’acqua San Pellegrino), nell’ambito di un contenzioso relativo alle importazioni dagli Usa di carni di manzo con gli ormoni. Inoltre il presidente, in un primo momento, sembrava intenzionato a negoziare singoli accordi con i 28 paesi e non con l’Unione.
Ora però sembra aver accantonato quest’ipotesi, proprio per rispolverare il Ttip. Si può supporre che i propositi protezionistici di Trump stiano in qualche misura mitigandosi? È possibile, e la regione di questo cambio di marcia si evince dai numeri snocciolati da Wilbur Ross. Il problema, per il commercio Usa, si chiama deficit commerciale. Quello nei confronti dell’Ue, ha spiegato Ross al Financial Times, ammonta a 146 miliardi di dollari ed è secondo solo a quello verso la Cina (347 miliardi).
Certo la cautela resta forte, e tutto lascia pensare che i negoziati con Bruxelles (ammesso che riprendano effettivamente), saranno lunghi e difficili, soprattutto in considerazione della complicata situazione politica dell’Europa. Insomma, difficilmente l’impasse si risolverà prima dell’autunno, quando la Germania andrà al voto.
GLI USA GIOCANO SU PIU’ TAVOLI
Di certo gli Usa giocano su più tavoli e, per di più, hanno fretta. Ross, pochi giorni prima di incontrare la commissaria europea, era in Giappone, con cui gli Stati Uniti puntano a stringere patti bilaterali. E Washington, sempre per ridurre il deficit, ha avviato consultazioni con Pechino. Ecco che in quest’ottica l’intervista del segretario al commercio americano al Financial Times assume un significato particolare. Sottolineando che Trump “non è interessato a incontri senza fine che non portino da nessuna parte”, Ross ha avvertito l’Unione. “Poiché non avremmo modo di forzare qualcuno a negoziare con noi, la cosa ragionevole da fare è capire quale dei grossi giocatori è più propenso a stringere un accordo ragionevole”.