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F-35, serve un controllo all’americana secondo il Movimento 5 Stelle

Di Simona Sotgiu e Emanuele Rossi
f-35 Energia, BEPPE GRILLO

Il Movimento 5 Stelle prova a mettere le mani sul bilancio della Difesa e lo fa proponendo, da una parte, lo spostamento dei finanziamenti dagli armamenti alla cyber security, dall’altra un ufficio di controllo del bilancio “all’americana”, che ne analizzi le uscite spesa per spesa. Le scorse settimane, sul blog di Beppe Grillo e sul Blog delle Stelle, sono stati pubblicati diversi interventi riguardanti il Programma Difesa del Movimento, che è stato poi votato su Rousseau dalla base pentastellata. E se, almeno in parte, il Movimento smonta il suo stesso programma (qui tutti i dettagli), dall’altra propone soluzioni d’oltre oceano per mettere luce sulla spesa militare italiana, considerata “uno degli aspetti più oscuri del programma di spesa dello Stato”.

DAGLI F-35 ALLA CYBER SECURITY

“L’Italia spende oggi per la difesa 23 miliardi di euro l’anno, cioè 64 milioni al giorno, di cui oltre 5 miliardi l’anno in armamenti”, scrive Enrico Piovesana, giornalista esperto di spese militari, lo scorso 7 maggio sul blog di Grillo. Si spende molto, secondo il giornalista, ma non solo: si spende male. “Gran parte della spesa è infatti assorbita dai costi di una struttura del personale elefantiaca e squilibrata, fino al paradosso di avere più comandanti che comandati, cioè più anziani ufficiali e sottufficiali da scrivania che graduati e truppa giovane e operativa”. La questione del personale era stata affrontata anche da Toni de Marchi, il quale aveva definito quella delle Forze armate “una delle caste più organizzate, più potenti, ma anche più invisibili, nel senso che spesso i militari, i poliziotti, i carabinieri, hanno privilegi che sfuggono alla maggior parte dell’opinione pubblica”, salvo poi essere criticato e smontato dallo stesso Movimento, con un post scriptum pubblicato due giorni dopo con cui si prendevano le distanze dalla sua posizione.

Nel suo intervento, invece, Piovesana si concentra principalmente sulla spesa “per armamenti di tipo tradizionale” cresciuta del 75% dal 2006. Si tratta di “armamenti costosissimi, logisticamente insostenibili, e soprattutto non rispondenti alle reali esigenze di sicurezza nazionale, bensì agli interessi dell’industria bellica e della lobby politico-militare che la sostiene”. Tra le spese “inutili” ci sarebbero carri armati (“che l’esercito continua a comprare in quantità sproporzionata rispetto alle esigenze operative”), navi da guerra e portaerei (“quando già mancano i soldi per il gasolio necessario a far navigare la prima, e altre 7 fregate lanciamissili che porteranno la flotta italiana a superare la potenza navale francese e ad eguagliare quella inglese”) fino ad arrivare ai “famosi” F-35 “che l’Italia continua a comprare – contrariamente ad altri Paesi NATO – nonostante i costi esorbitanti (14 miliardi per 90 aerei) e la loro inutilità rispetto alle reali esigenze di difesa aerea nazionale, denunciata anche da ex generali dell’Aeronautica Militare”. Spese esorbitanti che, secondo il giornalista, dovrebbero invece essere destinate a un altro ambito, in cui l’Italia è “gravemente impreparata”, ossia la cyber security. “È a dir poco paradossale continuare a spendere miliardi in armamenti tradizionali, e nulla per prevenire e fronteggiare cyberattacchi che potrebbero mettere fuori uso tutte queste armi con un semplice virus”, scrive Piovesana. “Servono investimenti massicci nella cyberdifesa – si legge ancora -, che oggi mancano completamente: appena 150 milioni nel 2016, nulla nel 2017, con personale e strutture militari dedicate il cybercomando italiano è ancora solo sulla carta”.

BILANCI MENO OPACHI

E ancora sugli F-35 è intervenuto Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, con un post pubblicato l’8 maggio. Simoncelli si chiede se i 90 aerei “sono stati acquistati perché ci servivano effettivamente o perché era un impegno politico con il nostro più grande alleato, gli Stati Uniti? Questo è un interrogativo che rimane insoluto”, ma che potrebbe essere risolto creando un sistema di controllo del bilancio per le spese militari, che in Italia è “uno degli aspetti più oscuri del programma di spesa dello Stato”. Per rendere più trasparente e accessibile questa parte del bilancio dello Stato, scrive il vicepresidente di Archivio Disarmo, “è necessario allora dotarsi di strumenti per conoscerlo meglio, ad esempio l’adozione della contabilità analitica, che ci permetterebbe di avere qualche dato di più, qualche informazione adeguata. Come accade negli Stati Uniti, dove esiste addirittura un ufficio che controlla dettagliatamente le forze armate spesa per spesa”.

IL SISTEMA ALL’AMERICANA

Negli Stati Uniti il dossier spese militari viene gestito dal Congresso, ma esiste un ufficio interno, il Cost Assesment and Program Evaluation (CAPE), che si occupa di rivedere i vari capitoli di spesa, soprattutto in un’ottica di funzionalità tecnica. È stato creato nel 2009 dal piano di revisione di spesa militare di Barack Obama, che va sotto il nome di Weapon Systems Acquisition Reform Act (WSARA), ma una qualcosa di simile esiste dal 2016. Il suo direttore è uno dei più stretti collaboratori del capo del Pentagono – per il ruolo il presidente Donald Trump ha nominato Robert Daigle, ma il suo incarico è ancora pendente perché in attesa del voto della Commissione Forze armate del Senato. Il ruolo del CAPE, che ha uno staff di analisti composto da militari e civili (attualmente intorno alle 150 persone) è puramente consultivo, è un organismo che gli americani chiamano “advisor”. Sul sito si definisce la mission: “Fornire al dipartimento della Difesa analisi puntuali, penetranti e imparziali sui problemi di allocazione delle risorse e sulla stima dei costi per avere un ottimo portafoglio di capacità militari usando efficientemente ogni singolo dollaro dei contribuenti”. Anche sulla base degli studi del CAPE si costruisce l’enorme budget che ogni anno il Pentagono chiede all’esercizio federale votato al Congresso.

(Paragrafo a cura di Emanuele Rossi)



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