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Unicredit e Banca Etruria, tutti gli effetti delle parole di Federico Ghizzoni su Maria Elena Boschi e Matteo Renzi

MATTEO RENZI, germanellum

Provo anch’io, una volta tanto, e con un certo fastidio perché disattendo critiche rivolte per tanto tempo ad alcuni colleghi più specialisti di me in questa materia, a travestirmi da pubblico ministero. E a cercare una trama, un’operazione sotterranea non dico escogitata da Ferruccio de Bortoli col suo libro sui “poteri forti, o quasi”, ma quanto meno sviluppatasi attorno alla sua pubblicazione, viste anche le circostanze politiche nelle quali è avvenuta.

Queste circostanze potrebbero essere state previste dall’ex direttore del Corriere della Sera, vista la sua indubbia competenza professionale, ma potrebbero anche essere state semplicemente casuali. Non credo che de Bortoli, per quanto bravo, abbia impiegato solo qualche giorno a scrivere il suo libro, e la sua casa editrice anch’essa solo qualche giorno a stamparlo e a diffonderlo in tempo perché potesse fornire argomenti o pretesti, come preferite, alla nuova campagna politica che è cominciata – come ho appena detto in una intervista a Radio Radicale e approfondirò adesso – contro il risegretario del Pd Matteo Renzi. È la campagna contro il tentativo o la tentazione renziana, come preferite, di scalare di nuovo, dopo le elezioni, ordinarie o anticipate che potranno essere, anche Palazzo Chigi, non bastandogli la guida del partito neppure questa volta, come nel 2014, per quanto la situazione politica nel frattempo sia molto cambiata, complicandosi ulteriormente.

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C’è un’intercettazione, chiamiamola così, che mi ha insospettito ed ho ricavata in maniera per niente truffaldina, limitandomi a leggere con qualche attenzione le poche, stringatissime dichiarazioni rilasciate ai giornalisti che lo assediano dovunque dall’ex amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni. Di una cui confidenza o notizia, come volete, si è avvalso de Bortoli nel suo libro scatenando, o riscatenando, le polemiche sul ruolo svolto dall’allora ministra renziana delle riforme e dei rapporti col Parlamento, Maria Elena Boschi, per cercare di salvare dal dissesto nel 2015 la Banca Etruria vice presieduta dal padre. La confidenza, o notizia, è la proposta di acquisto della banca toscana da parte di Unicredit. Che però la lasciò cadere.

Forse la Boschi, oggi sottosegretaria di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi, annunciando o minacciando querele si aspettava una smentita da Ghizzoni che la togliesse dall’impaccio, o impiccio, di essere accusata di avere mentito al Parlamento. Dove, quand’era ancora ministra e rischiava la sfiducia “individuale” proposta dai grillini e dintorni, lei aveva dichiarato due anni fa di non avere fatto alcunché per favorire né il padre né la sua banca. Qualcosa invece, dopo la rivelazione di de Bortoli, risulterebbe che avesse fatto, per quanto inutilmente, e per quanto – aggiungo io – di sconveniente solo per gli ipocriti e i soliti moralisti da quattro soldi. Proporre un acquisto nella convinzione, giusta o sbagliata, che potesse essere un affare per entrambe le parti – l’Unicredit e la Banca Etruria – e soprattutto per tutti i clienti e depositanti a rischio di perdere i loro risparmi, è cosa alquanto diversa – dovete convenire – dall’imporre. Né può essere considerato irrilevante o insignificante il fatto che Ghizzoni non sia stato penalizzato per quella sua risposta negativa, dopo aver fatto verificare i conti e avere valutato la faccenda a dovere.

Per nulla intimidito dal rischio di beccarsi una querela o una denuncia, da solo o in compagnia dell’ex direttore del Corriere della Sera, Ghizzoni non ha smentito. E quindi ha implicitamente confermato, ma per farlo esplicitamente ha posto una condizione: che a chiederglielo non sia il primo giornalista di passaggio, ma la commissione parlamentare d’inchiesta che viene annunciata un giorno sì e l’altro pure, anche da Renzi, ma di cui francamente si stenta ad avvertire il reale concepimento. A meno che, per effetto di qualche procedimento giudiziario, Ghizzoni non si senta porre la domanda, naturalmente, da un magistrato.

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Mi chiederete a questo punto cosa c’entri e soprattutto che cosa sia l’intercettazione, per quanto metaforica, cui ho accennato prima per farmi una certa idea del caso de Bortoli-Boschi. È questa frase di Ghizzoni: “Se il governo regge non può dipendere da me”.

Ciò significa che Ghizzoni, un banchiere abituato, com’egli stesso ha avvertito, ad avere rapporti con i politici, si è reso perfettamente conto che il putiferio scatenato dal libro di de Bortoli potrebbe sfociare in una crisi di governo, essendo la figura politica della Boschi rilevante al di là della sua attuale carica di sottosegretaria, peraltro alla Presidenza del Consiglio, che vale praticamente quanto e ancora più di un ministro.

Ebbene, ad una crisi di governo l’ex amministratore delegato di Unicredit, per quanta amicizia e stima possa avere per de Bortoli, non sembra volere contribuire. Sarebbe una crisi peraltro destinata probabilmente a travolgere non solo il presidente del Consiglio Gentiloni, ma forse anche la legislatura già declinante di suo, in tutti i sensi, e il destino stesso di Renzi aspirante, reale o potenziale che sia, a ripresidente del Consiglio, dopo essere diventato risegretario del Pd. Un Renzi che non riuscirebbe forse a salvarsi neppure se rompesse cautelativamente il suo sodalizio politico con la Boschi.

Se poi mi chiedete su quali elementi concreti io basi il sospetto, o la convinzione, che Renzi punti al ritorno a Palazzo Chigi, rischiando di mancare l’obbiettivo a questo punto anche per il putiferio scatenato, volente o nolente, da de Bortoli col suo libro, o con la strumentalizzazione che ne stanno facendo gli avversari del segretario del Pd, vi confesserò anche questo.

Ho l’abitudine di seguire con una certa costanza gli appuntamenti domenicali di Eugenio Scalfari con i lettori di Repubblica, anche per capire cosa stia bollendo nella pentola o nella testa del segretario del Pd da quando ho capito che tra i due c’è un intenso rapporto di amicizia e consultazione, rivelato e raccontato con lodevole trasparenza, e un pizzico di civetteria, dallo stesso Scalfari.

Quest’ultimo sino a qualche settimana fa era scettico, se non decisamente contrario ad un ritorno di Renzi anche a Palazzo Chigi. Ma ad un certo punto, dopo la vittoria nelle primarie congressuali dell’ex presidente del Consiglio, don Eugenio ha cominciato a riconoscere che i propositi di Renzi, da lui molto apprezzati, di adoperarsi per una grande e seria riforma istituzionale dell’Unione Europea, con la nomina di un ministro unico delle Finanze e l’elezione diretta del presidente della Commissione di Bruxelles, e contemporaneamente presidente del Consiglio Europeo, potrebbero essere più efficacemente perseguiti se il segretario del Pd tornasse ad assumere la guida del governo. Specie adesso che Renzi si è scelto per il partito, coinvolgendolo già nelle primarie, un vice segretario unico e più operativo come Maurizio Martina, per adesso anche ministro dell’Agricoltura.

Ecco, ora vi ho spiegato, o confessato, tutto. E chiamatemi pure, se volte, visionario.


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