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Ecco chi comanda davvero a Wall Street

Di Gregory Zuckerman e Bradley Hope
wall street

Alexey Poyarkov, ex oro alle olimpiadi internazionali di matematica per le superiori, ha aperto la sua carriera affinando algoritmi presso società come Microsoft. L’anno scorso alcuni big dei fondi hedge come Renaissance Technologies, Citadel e Tgs Management se lo sono contesi all’ultimo sangue. Tgs ha avuto la meglio e, stando a fonti vicine, il compenso per il primo anno dell’ingegnere di origine russa potrebbe arrivare a 700 mila dollari, e senza avere in pratica alcuna esperienza di finanza. Tgs voleva la sua maestria nel progettare algoritmi, set di regole volti a potenziare calcolo e risoluzione d problemi, che nel mondo degli investimenti analizzano rapidamente dati e decidono cosa comprare e vendere, con il minimo coinvolgimento umano.

A Wall Street i trading algoritmico e quantitativo, basati su sofisticati modelli statistici per strutturare operazioni interessanti, stanno conquistando tutti. In molti trading floor si stanno diffondendo i metodi quantitativi, e le società d’investimento fanno a gara per assumere matematici. Invece perdono terreno le strategie tradizionali, che prevedono studio di bilanci e scambi di idee con i clienti delle aziende.

«Un decennio fa i più brillanti laureati volevano diventare trader delle banche d’investimento di Wall Street, ora fanno carte false per entrare nei quant fund», riferisce Anthony Lawler, a capo degli investimenti quantitativi di Gam. Il gestore svizzero lo scorso anno ha acquisito la quant firm britannica Cantab Capital Partners, che utilizza sofisticati modelli matematici per le strategie di trading, per 217 milioni di dollari. Guggenheim Partners ha costruito un «cluster di supercomputer» da 1 milione di dollari presso il Lawrence Berkeley National Laboratory in California, riferisce il senior managing director Marcos Lopez de Prado. Il trading algoritmico esiste da molto tempo. In un articolo del 1974, il pioniere Ed Thorp faceva capolino sulle colonne del Wall Street Journal. Nel 1988 il Wsj raccontava che una società di trading di opzioni basata a Chicago aveva un sistema informatico segreto. E nel 2010 il giornalista Scott Patterson scriveva un besteller sull’ascesa dei metodi quantitativi. I precursori immaginavano che i trader che seguono gli algoritmi piuttosto che l’istinto sarebbero diventati un giorno i re di Wall Street.

Quel giorno è arrivato. I fondi quantitativi sono ora responsabili del 27% di tutti gli scambi azionari negli Usa, a fronte del 14% nel 2013. E hanno quasi raggiunto i piccoli investitori, che rappresentano il 29% (dati Tabb Group). A fine primo trimestre questi hedge fund detenevano 932 miliardi di dollari di investimenti, oltre il 30% del totale degli asset in hedge fund (dati Hfr). Nel 2009 i quant fund equivalevano a 408 miliardi di dollari, il 25% degli asset degli hedge fund. Nel primo trimestre i nuovi investimenti netti hanno toccato 4,6 miliardi di dollari, mentre l’intero settore ha visto riscatti per 5,5 miliardi.

I computer stanno facendo meglio dell’uomo. Negli ultimi cinque anni i fondi quant hanno guadagnato mediamente il 5,1% l’anno. Nello stesso periodo il comparto hedge è migliorato del 4,3% medio. E nel primo trimestre i quant sono aumentati del 3%, contro il 2,5% del fondo hedge medio. Il fenomeno è aiutato da due forze. I controlli hanno reso difficile per gli investitori ottenere un vantaggio pungolando i top manager per avere informazioni, ma soprattutto gli investitori ora hanno a portata di mano un oceano di dati.

La prossima frontiera? Intercettare dati con droni e altri mezzi all’avanguardia per comprendere in tempo reale l’andamento di aziende e economia. I quant si differenziano dai trader ad alta frequenza, che tendono a concentrarsi su operazioni della durata di appena qualche millisecondo e hanno subito il calo della volatilità e la crescita della concorrenza. Anche gli etf sfruttano algoritmi, ma sono più orientati agli investitori che preferiscono esporsi a dati settori. I trade quantitativi possono durare da qualche minuto a qualche mese. Le maggiori quant firm? Renaissance, Two Sigma Investments, D.E. Shaw Group, Pdt Partners e Tgs. Alcuni analisti temono che le imprese e gli investitori tentati dalla nuova tendenza restino delusi. I quant di maggior successo operano da anni. E assumere dottori di ricerca non è garanzia di profitti.

Una maggiore concorrenza potrebbe compromettere i rendimenti e dare un’ingannevole sensazione di sicurezza sulla stabilità. Nel 2007 quello che è ricordato oggi come quant meltdown è stato causato dalla somiglianza delle strategie, che hanno indotto diversi quant a vendere tutti insieme. William Byers, che nel 2010 ha scritto How Mathematicians Think, avverte che tradurre il mondo in numeri può dare la convinzione ingannevole che le previsioni scaturite dai computer siano più affidabili di quanto realmente siano. Quanto più gli investitori ricorrono a complicati modelli, con più probabilità alcuni si somiglieranno, alimentando gravi perturbazioni di mercato. Finora nulla ha fermato la corsa alle armi quantitative, che sta creando un gran numero di posti di lavoro nell’industria finanziaria. Citadel ha un chief scientist.

In agosto, Balyasny Asset Management ha assunto il ricercatore Gilbert Haddad, ex Schlumberger e General Electric, che ha studiato nanoparticelle all’Università del Wisconsin e ha un Ph.D. in ingegneria. La società d’investimento del miliardario Steven A. Cohen, Point72 Asset Management, sta convertendo metà dei gestori a un approccio «uomo più macchina». I team della vecchia scuola lavorano accanto agli esperti di dati e gli analisti finanziari seguono lezioni serali per imparare i fondamenti della scienza del big data. Point72 ha investito decine di milioni di dollari per analizzare valanghe di dati, tra cui ricevute di carte di credito e traffico pedonale. Stando a indiscrezioni, lo scorso anno il gruppo ha perso sulla maggior parte delle strategie tradizionali, mentre i quant hanno fruttato circa 500 milioni di dollari. Il chief market-intelligence officer Matthew Granade ha esortato gli studenti della London School of Economics a studiare linguaggi di programmazione per essere più competitivi.

Uno degli investitori più famosi della storia, Paul Tudor Jones, che previde il crollo di Wall Street del 1987, ha fatto giganteschi profitti con rapidi movimenti e un guadagno medio annuo di oltre il 17%, tuttavia ha a malapena prodotto qualcosa nel 2014 e nel 2015. Secondo persone a lui vicine, fino all’anno scorso Jones sentiva la pressione del crescente successo dei quant. In ottobre ha scelto Dario Villani, un italiano Ph. D. in fisica teorica, assunto nel 2015 per dare una scossa alla Tudor Investment. A Greenwich, nel Connecticut, Villani sviluppa programmi che replicano le posizioni dei gestori tramite strumenti che consentano di aumentare il rischio per migliorare i rendimenti senza minacciare la stabilità della società.

L’uomo da sempre cerca di avere vantaggi nell’informazione. Il barone Rothschild nel 1815 organizzò una rete di agenti sul campo e piccioni viaggiatori per conoscere in anticipo l’esito della battaglia di Waterloo. Oggi i quant sperano di agire più in fretta degli investitori tradizionali. A fine anni ‘90 un algoritmo poteva tentare di cavalcare la salita del prezzo di un titolo, acquistando a un certo livello e vendendo in un dato momento. Oggi aggiornano previsioni basate sull’analisi di dati passati e presenti, bombardati da centinaia di input in tempo reale. Prima o poi incideranno sul fabbisogno di personale nelle grandi società d’investimento.

Traduzione di Giorgia Crespi

(Pubblicato su Italia Oggi/ MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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