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Come cambierà la politica con il sistema elettorale importato dalla Germania

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Non mi infilo nella disputa politica sulla legge elettorale però una considerazione la facciamo da maestrine (ma a volte la chiarezza serve): dalla sorella maggiore Germania stiamo prendendo dei modelli (vedi mini jobs e vaucher) ma dobbiamo capire per esempio, una volta per tutte che noi abbiamo un processo di riforme in atto lento e appesantito da un debito pubblico enorme che comunque fa la differenza a parte il sistema di welfare che totalmente diverso.

Torniamo all’ipotesi di accordo sulla legge elettorale. Il sistema tedesco è sostanzialmente un proporzionale – con sbarramento al 5 per cento – in cui la distribuzione del voto degli elettori si rispecchia più o meno esattamente in Parlamento: se un partito viene votato dal 30 per cento degli elettori, otterrà all’incirca il 30 per cento dei seggi. La particolarità di questo sistema è che ha anche alcune componenti del sistema maggioritario, nel quale sono i candidati – e non i partiti – che si affrontano direttamente nei collegi e passa chi riesce a ottenere un voto in più. Anche in Italia abbiamo avuto per anni un sistema misto: il 75 per cento dei seggi veniva scelto con un sistema maggioritario, il 25 per cento con un sistema proporzionale.

Vero è che in Germania le cose sono più complicate, ma anche più efficienti. Ogni cittadino dispone di due voti. Con il primo (“erststimme”) sceglie un singolo candidato all’interno del proprio collegio, in un sistema maggioritario: chi prende un voto in più degli altri viene eletto. Con il secondo voto (“zweitstimme”) l’elettore sceglie una lista o un partito. Questo voto è quello considerato più importante: come nei sistemi proporzionali, stabilisce qual è la percentuale di seggi parlamentari che avrà ogni partito. Chi prende il 30 per cento dei secondi voti, quindi, avrà diritto al 30 per cento dei seggi.

Il meccanismo fondamentale alla base del sistema tedesco è che i candidati eletti con il sistema uninominale – quello del primo voto – sono eletti in ogni caso, anche se sono in numero maggiore rispetto alla quota proporzionale che spetterebbe a un partito. Quando si verifica questa circostanza, tutti gli altri partiti ricevono dei deputati in più, in modo da mantenere la corretta ripartizione proporzionale stabilita dal secondo voto. Questo è possibile in Germania perché il numero di parlamentari non è fisso: ed è sempre possibile aggiungere altri seggi in modo da rispettare le proporzioni dei vari partiti. Il Parlamento attuale, per esempio, è composto da 630 membri. Nel 2009 erano 622. Un meccanismo del genere in Italia non potrebbe essere introdotto a meno di cambiare la Costituzione (più in generale, in Germania c’è il federalismo e non c’è il bicameralismo perfetto, al contrario che in Italia: sono due Paesi strutturati in modo profondamente diverso).

Questo sistema ha due effetti. Il primo: la distribuzione dei seggi rispetta il voto degli elettori. Non sono possibili distorsioni come quelle che prevede il sistema britannico, dove alle elezioni del 2015 i conservatori hanno ottenuto il 50 per cento dei seggi con il 36 per cento dei voti e dove lo Ukip, con il 12 per cento dei voti, ha ottenuto un solo deputato. Il secondo: permette comunque che si stabilisca un rapporto diretto forte tra rappresentanti ed elettori. I candidati nei collegi uninominali, infatti, hanno tutto l’interesse a fare campagna nel collegio poiché se riescono a vincere il “primo voto” risulteranno eletti indipendentemente da come andrà il resto del partito nel “secondo voto”.

Vero è che come sarebbe un sistema tedesco all’italiana non lo sappiamo: perché non c’è un testo definitivo reso pubblico e l’accordo di cui si parlano i partiti, movimenti, politici, ecc. sembra essere ancora molto aleatorio. Il sistema tedesco andrà tradotto nella sua versione italiana e questo potrebbe causare parecchie divisioni e spingere alcune forze politiche a ritirare il loro appoggio. Per esempio: come abbiamo detto, in Italia non è possibile avere un numero flessibile di parlamentari. Bisognerà quindi stabilire cosa succederà se una lista elegge più candidati con il sistema maggioritario di quanti gliene spettino con quello proporzionale. C’è chi dice che per avere un sistema pienamente tedesco, occorre assegnare a ogni partito sopra lo sbarramento il numero di seggi esattamente corrispondenti alla percentuale di voti ricevuti. Ciò significa che laddove dovesse capitare che il numero di seggi vinti da un partito nei collegi uninominali eccedesse il numero dei seggi ottenuti nel riparto proporzionale, quest’ultimo deve prevalere, al fine di garantire la piena proporzionalità del sistema come accade in Germania.

Dunque l’esito del “secondo voto” prevale su quello del “primo voto” e si propone anche di aggiungere un premio di maggioranza, che non esiste in Germania e non esiste in nessun altro paese al mondo, con l’esclusione della Grecia. C’è chi dice che lo sbarramento deve restare al 5 per cento; e le liste della quota proporzionale devono essere corte, con i nomi dei candidati sulla scheda. L’elettore deve essere in grado di riconoscere e giudicare chi elegge. Allora: la differenza principale tra il sistema tedesco e il sistema misto cioè il sistema che si utilizzava in Italia fino al 2006, è che il primo non incentiva le coalizioni a differenza del secondo. A quei tempi infatti, le forze politiche si alleavano le une con le altre per sostenere a vicenda i propri candidati nei collegi uninominali in cui si decidevano due terzi del Parlamento.

Con il sistema tedesco queste alleanze non servono, perché a stabilire la distribuzione dei seggi è il voto proporzionale, dove a ciascun partito conviene correre da solo. Se copiamo e male il sistema tedesco, quindi, con ogni probabilità si produrrà un Parlamento in cui per governare sarà necessaria l’alleanza di due o più forze politiche maggiori, come accade in Germania da diverso tempo. Se si votasse oggi e il risultato del voto rispecchiasse quanto previsto dai sondaggi, nemmeno un’alleanza tra Pd e Forza Italia avrebbe la maggioranza in Parlamento; se poi lo sbarramento venisse abbassato al 2,5 per cento, e il M5S restasse dell’idea di non voler fare alleanze, l’unica maggioranza teoricamente possibile sarebbe composta da Partito Democratico, Forza Italia, Alleanza Popolare e Movimento Democratici e Progressisti. Ci va bene? Mica tanto.

 



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