Aumentare il livello di internazionalizzazione delle nostre imprese. Alcune proposte.
Tra i tanti dati negativi che hanno caratterizzato l’andamento dell’economia Italiana nel corso del 2012, un solo dato ha una colorazione più tendente al rosa che al nero. Si tratta del trend delle esportazioni, che sono cresciute in misura pari al 12% su base annua rispetto all’anno precedente; crescita che si somma a quelle del 2010 e del 2011, portando ad un incremento totale delle vendite all’estero da parte delle nostre imprese rispetto al 2009 pari ad oltre il 20%.
Questo dato, portato degli effetti della globalizzazione sulla domanda mondiale di beni e servizi trainata principalmente dai Paesi emergenti, nasconde però il meno positivo andamento della quota di mercato delle esportazioni Italiane, calata, in termini relativi, dal 3,9% del 2002 al 2,9% del 2010 il che, tradotto in euro, equivale in 9 anni ad un virtuale calo delle esportazioni potenziali a parita di quota di mercato in misura complessivamente pari a 200 miliardi di Euro, pari all’11% del Pil.
Se ne deduce che la politica economica dei futuri governi, in uno scenario di debolezza della domanda interna per i prossimi anni, non potrà non essere focalizzata su un perlomeno parziale recupero della quota di mercato dell’export Italiano, resa ancora più necessaria dal previsto rallentamento della crescita economica mondiale attesa in misura pari al 3,0% nel quinquennio 2013-2018 ed al 2,5% dal 2019 al 2025 (il tasso di crescita annuo tra il 1996 ed il 2012 è stato pari al 3,6%).
Pertanto è necessario porre in atto una serie di interventi volti sia ad aumentare il numero delle imprese Italiane che vendono sui mercati esteri (oggi 200mila imprese, il 4,7% del nostro tessuto imprenditoriale) che soprattutto la qualità ed il valore unitario delle nostre esportazioni che devono spostarsi dai prodotti a più basso valore aggiunto a quelli con maggiore prezzo unitario e contenuto innovativo.
Vale la pena di interrogarsi su quali siano le principali barriere nei confronti di un processo di internazionalizzazione di un’impresa. L’esperienza indica le seguenti:
Barriere finanziarie, intese sia come risorse finanziarie necessarie per porre in atto strategie di internazionalizzazione (crescenti se ci si muove dal puro export, tramite vendite dirette o con distributore, alla costituzione/acquisizione di unità produttive o di servizio locali necessarie in contesti caratterizzati da dazi che limitano le esportazioni dirette o in settori con una significativa componente di servizio post vendita) sia come rischi di credito o di cambio.
Barriere informative, intese come mancanza di informazioni sugli attori presenti sui mercati su cui si intende focalizzare l’azione di internazionalizzazione, che siano intesi come agenti, distributori, fornitori di beni e servizi, concorrenti ecc.
Barriere poste dai competitor locali, intese come strutture di dazi, tariffe o limitazioni alla concorrenza proveniente dall’estero poste in atto dai governi influenzati dall’azione di lobbying dei produttori locali.
Barriere regolamentari, intese come norme e regolamentazioni locali in materia, per esempio, di sicurezza, responsabilità del produttore, ambiente, attività di impresa ecc.
Barriere culturali, intese come codici di comportamento che influenzano l’attività commerciale, le negoziazioni o semplicemente la percezione di un’azienda sul mercato
Mentre esiste un’ampia offerta di servizi professionali in grado di accompagnare le imprese di maggiori dimensioni nel corso dei processi di internazionalizzazione, è più complesso per le imprese più piccole, che spesso sono anche le più innovative e, di conseguenza, quelle che offrono prodotti non destinati ad un mercato locale ma ad uno globale (si pensi alle imprese nel settore IT) accedere alle risorse necessarie per superare le suddette barriere all’ingresso.
È pertanto necessario porre in essere una serie di misure volte a facilitare il superamento delle barriere che frenano l’internazionalizzazione delle imprese che, per caratteristiche di prodotto, organizzative e tecnologiche, potrebbero giocare un ruolo da protagonista all’interno di una dinamica di accresciuta internazionalizzazione della nostra economia.
– Misure per il superamento delle barriere finanziarie, per esempio stimoli per facilitare la crescita dimensionale delle imprese anche tramite fusioni o acquisizioni di concorrenti o ricapitalizzazioni (ed in questo senso il trattamento fiscale agevolato per il capitale di rischio contenuto nel Decreto Salva Italia è un primo passo), lo sviluppo del private equity e del venture capital nel nostro Paese, facilitazioni sul fronte dell’export finance e dell’assicurazione del credito (sul modello, per esempio, di quanto offerto in Regno Unito da UK Export Finance http://www.ukexportfinance.gov.uk/) e misure per facilitare lo smobilizzo dei crediti verso lo Stato (per esempio creando strumenti di crowd funding con cui le singole imprese possono cedere crediti di certa esigibilità ad investitori privati). Inoltre possono essere promosse attività per facilitare la creazione di clusters di imprese che agiscano in misura coordinata in termini di politiche di internazionalizzazione sul modello di quanto proposto da bw-i in Baden Württemberg http://www.bw-i.de/en/start-page.html.
– Misure per il superamento delle barriere informative, ad esempio tramite il rafforzamento delle funzioni dell’Istituto del Commercio Estero sul modello, per esempio, di FinPro in Finlandia http://www.finpro.fi/web/english-pages che fornisce gratuitamente, in collaborazione con la rete dei consolati finlandesi e facendo leva su 100 “punti di servizio” nei differenti mercati mondiali, ad imprese selezionate sulla base della rispettiva propensione all’internazionalizzazione, servizi informativi sui potenziali partner in loco
– Misure per il superamento delle barriere poste dai competitor locali, che non possono non passare da un rafforzamento delle attività diplomatiche/negoziali volte alla progressiva eliminazione delle norme anti competitive esistenti a livello internazionale, sul modello delle azioni poste in essere dal Dipartimento del Commercio USA http://export.gov/FTA/index.asp. Evidentemente, in questo le azioni più efficaci sono quelle coordinate a livello di Unione Europea, rese ancora più incisive da un’auspicabile futura maggiore integrazione a livello politico.
– Misure per il superamento delle barriere regolamentari; anche qui il rafforzamento/efficientamento dell’ICE, supportato dalla rete di ambasciate e consolati la cui azione deve essere focalizzata sul supporto all’impresa, è chiave e si deve concretizzare tramite la fornitura di servizi di consulenza sulle diverse norme e regolamentazioni esistenti a livello mondiale. Un esempio è quanto offerto da Pimec in Catalogna http://web.pimec.org/en/inici.
– Misure per il superamento delle barriere culturali, per esempio tramite network di esperti in materia di export nei diversi mercati mondiali (sul modello in Regno Unito di UK Trade & Investment http://www.ukti.gov.uk) la cui formazione deve essere funzione sia di un ridisegno del sistema formativo nel nostro Paese finalizzata all’incremento degli scambi culturali sia di politiche volte ad attrarre in Italia professionalità funzionali alla crescita delle nostre imprese a livello internazionale valorizzando anche la rete e le competenze degli Italiani all’estero.
La globalizzazione nasconde incredibili opportunità per la nostra economia. Se fino ad adesso ha determinato una diminuzione della quota di mercato del nostro export, soprattutto nei prodotti a più basso valore aggiunto, il progressivo aumento della ricchezza e della propensione al consumo individuale nelle economie emergenti genera un incremento della richiesta di prodotti e servizi. Se l’Italia vorrà essere sempre di più al centro di queste dinamiche globali, il supporto all’internazionalizzazione delle nostre imprese non potrà non essere al centro dell’azione dei futuri esecutivi. Peccato che come tema, sia completamente assente dalla campagna elettorale.